
Malattia del difensore: è giustificata la rimessione in termini?
Con ordinanza n. 17889 del 2019 la Corte di Cassazione si è soffermata sui motivi che giustificano la rimessione in termini.
Il controricorrente aveva eccepito l’inammissibilità del ricorso perché tardivamente proposto.
Il ricorrente si difendeva chiedendo la rimessione in termini assumendo che la tardività era conseguenza delle gravi condizioni di salute del precedente difensore che non gli avevano permesso di avvisare la parte tempestivamente.
Nel corso del giudizio di legittimità, il ricorrente aveva oltretutto prodotto documentazione medica attestante il ricovero del precedente difensore per uno stato di grave iperglicemia che lo aveva obbligato ad allettarsi, stato che persisteva anche alla data del certificato.
Secondo il Collegio la richiesta di rimessione in termini non poteva essere accolta e a riguardo ricordavano l’orientamento della Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 487/2019), secondo cui: “la notifica della sentenza ad un procuratore regolarmente iscritto all’albo è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, conseguendo la perdita dello “ius postulandi” solo alla cancellazione dall’albo, in mancanza della quale non può assumere alcun rilievo, neppure ai fini di una rimessione in termini, la cessazione di fatto dell’attività professionale del difensore, seppure imputabile a gravi ragioni di salute, atteso che tale circostanza non si traduce per l’interessato nell’impossibilità di acquisire conoscenza della sentenza impugnata, della quale può avere notizia dai collaboratori dello studio professionale, sicché facendo applicazione di tale principio emerge con evidenza come le ragioni addotte dal ricorrente non potrebbero in alcun modo legittimare la tardiva proposizione del ricorso”.
Secondo gli Ermellini la certificazione medica prodotta dal ricorrente non chiariva se il precedente difensore fosse stato effettivamente ricoverato e se tale condizione di ricovero si fosse protratta anche per tutto il tempo che aveva preceduto la scadenza del termine breve per la proposizione del ricorso a far data dalla notifica della sentenza.
Peraltro risultava agli atti una missiva dello stesso difensore che, per conto del ricorrente, chiedeva al difensore della controparte di voler quantificare l’esatto importo dovuto a titolo di spese liquidate con la sentenza d’appello a riprova che era in grado di svolgere l’attività professionale.
In conclusione la Suprema Corte ha ritenuto che non ricorressero le condizioni per concedere la richiesta rimessione in termini e dunque il ricorso doveva considerarsi tardivo.
Pertanto il Collegio dichiarava inammissibile il ricorso.
Avv. Gavril Zaccaria

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Il ricorrente si difendeva chiedendo la rimessione in termini assumendo che la tardività era conseguenza delle gravi condizioni di salute del precedente difensore che non gli avevano permesso di avvisare la parte tempestivamente.
Nel corso del giudizio di legittimità, il ricorrente aveva oltretutto prodotto documentazione medica attestante il ricovero del precedente difensore per uno stato di grave iperglicemia che lo aveva obbligato ad allettarsi, stato che persisteva anche alla data del certificato.
Secondo il Collegio la richiesta di rimessione in termini non poteva essere accolta e a riguardo ricordavano l’orientamento della Sezioni Unite (Cass. S.U. n. 487/2019), secondo cui: “la notifica della sentenza ad un procuratore regolarmente iscritto all’albo è idonea a far decorrere il termine breve per l’impugnazione, conseguendo la perdita dello “ius postulandi” solo alla cancellazione dall’albo, in mancanza della quale non può assumere alcun rilievo, neppure ai fini di una rimessione in termini, la cessazione di fatto dell’attività professionale del difensore, seppure imputabile a gravi ragioni di salute, atteso che tale circostanza non si traduce per l’interessato nell’impossibilità di acquisire conoscenza della sentenza impugnata, della quale può avere notizia dai collaboratori dello studio professionale, sicché facendo applicazione di tale principio emerge con evidenza come le ragioni addotte dal ricorrente non potrebbero in alcun modo legittimare la tardiva proposizione del ricorso”.
Secondo gli Ermellini la certificazione medica prodotta dal ricorrente non chiariva se il precedente difensore fosse stato effettivamente ricoverato e se tale condizione di ricovero si fosse protratta anche per tutto il tempo che aveva preceduto la scadenza del termine breve per la proposizione del ricorso a far data dalla notifica della sentenza.
Peraltro risultava agli atti una missiva dello stesso difensore che, per conto del ricorrente, chiedeva al difensore della controparte di voler quantificare l’esatto importo dovuto a titolo di spese liquidate con la sentenza d’appello a riprova che era in grado di svolgere l’attività professionale.
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