Insinuazione al passivo fallimentare: il deposito cartaceo è ammissibile?

Con ordinanza n. 18535 del 2019 la Corte di Cassazione si è soffermata sulle modalità per la presentazione della domanda di insinuazione al passivo fallimentare.

Nell’ambito della verifica di uno stato passivo il G.D. dichiarava inammissibile la domanda di ammissione perché proposta mediante deposito in cancelleria e non con invio al curatore via p.e.c..

Il creditore proponeva opposizione e il Tribunale, condividendo l’impostazione del primo giudice, rigettava il gravame.

Avverso il predetto rigetto il creditore propone ricorso per Cassazione lamentando, tra gli altri, che il deposito della domanda di insinuazione al passivo in cancelleria anziché via pec rappresentava una mera irregolarità sanata dalla circostanza che il Curatore aveva non solo ricevuto la domanda, ma l’aveva anche inserita nel progetto di stato passivo.

Gli Ermellini ricordano, a proposito, di aver statuito, nell’ambito della sentenza n. 9772/2016, che “nei procedimenti contenziosi incardinati dinanzi ai tribunale dal 30 giugno 2014, il deposito per via telematica, anziché con modalità cartacee, dell’atto introduttivo del giudizio non dà luogo ad una nullità della costituzione dell’attore, ma ad una mera irregolarità, essendo stato comunque realizzato il raggiungimento dello scopo della presa di contatto tra la parte e l’ufficio giudiziario e della messa a disposizione delle altre parti”.

La Suprema Corte riconosce che il deposito in cancelleria della domanda di ammissione allo stato passivo costituisca un vizio, ma ritiene che non sia tale da determinare una sanzione processuale, che, peraltro, neppure il legislatore ha ritenuto di prevedere.

Ed infatti la domanda depositata in cancelleria ha comunque raggiunto il proprio scopo essendo stata inserita nel progetto di stato passivo del curatore, che con tale condotta ha implicitamente attestato di averla regolarmente ricevuta.

Ad ulteriore conferma della bontà del principio sopra esposto, il Collegio ricorda altresì di aver affermato che costituisca una mera irregolarità addirittura la mancata indicazione, nell’oggetto del messaggio di PEC, della dizione “notificazione ai sensi della L. n. 53 del 1994” e l’inserimento del codice fiscale del soggetto notificante, essendo pacifico tra le parti l’avvenuto perfezionamento della notifica (Cass. S.U. 23620/2018).

Sulla base di tali motivi il Collegio accoglie il ricorso.

Avv. Gavril Zaccaria