Il recupero degli onorari, l’ipotesi di applicabilità dell’art. 702 bis

aprile 13th, 2019|Articoli, Focus, Marta Mazzone|

Il tema della procedura di recupero, da parte dell’avvocato, della propria parcella – o compenso – nei confronti del cliente non pagante e volto alla tutela del credito derivante dall’esecuzione di un mandato, è materia non pacifica nonché oggetto di orientamenti giurisprudenziali altalenanti.

Le problematiche scaturiscono dal coordinamento della procedura speciale di liquidazione dei compensi, prevista dagli artt. 28, 29 e 30 della legge n. 794/1942, dettata per le prestazioni giudiziali civili ma ammessa anche per le prestazioni stragiudiziali ad esse strumentali e complementari, (Cass. Civ., Sez. II, n. 21954 del 2014) con i riti proponibili secondo il codice di procedura civile, a seguito dell’introduzione all’interno del nostro ordinamento del decreto legislativo n. 150 del 2011, che opera una significativa riduzione e semplificazione dei procedimenti civili di cognizione e che dispone l’applicazione del “rito sommario” alle procedure di recupero del credito professionale.

Le risposte della giurisprudenza si sono alternate nel corso del tempo e due recenti pronunce della Suprema Corte arrivano come un faro nel buio, a far finalmente luce sula questione e porre fine alla sequela di domante e dubbi vertenti sulla disciplina da applicare al caso che qui ci occupa.

La circostanza che l’art. 14 della novella del 2011 parli espressamente di “controversie in materia di liquidazione degli onorari” aveva lasciato presumere che il rito semplificato fosse da utilizzare solo in quel giudizio ove si discuta della quantificazione della parcella e non anche del diritto al pagamento, tant’è vero che si è a lungo sostenuto come la disciplina speciale non fosse applicabile per le controversie riguardanti anche il fondamento del diritto al compenso e non solo la semplice determinazione della misura del compenso spettante al professionista.

La soluzione offerta dalla Cassazione va in direzione opposta, con la sentenza n. 4002/2016 inaugura una nuova linea giurisprudenziale, statuendo che le controversie per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti dei propri clienti da parte dell’avvocato, devono essere trattate col rito sommario ex art. 702 bis c.p.c., anche nelle ipotesi in cui la domanda riguardi l’an della pretesa, senza possibilità per il giudice adito di trasformare il rito sommario in rito ordinario o di dichiarare l’inammissibilità della domanda.

Ancora più incisiva è la posizione assunta dalle Sezioni Unite con la recentissima sentenza n. 4485 del 2018, volta a stabilire quale sia l’incidenza dei diversi interventi legislativi che portano oggi ad identificare il procedimento di cognizione sommaria come unica tipologia di rito applicabile.

Il nuovo art. 28 della L. 794 del 1942 così dispone: “Per la liquidazione delle spese, degli onorari e dei diritti nei confronti del proprio cliente l’avvocato, dopo la decisione della causa o l’estinzione della procura, se non intende seguire il procedimento di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile, procede ai sensi dell’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”. Detta norma, impone all’avvocato un rito sommario avente talune caratteristiche tipiche della procedura di cui all’art. 702 bis c.p.c. ed altre completamente differenti che lo avvicinano, per certi aspetti, al vecchio rito camerale pre riforma.

Se per il periodo precedente alla riorganizzazione dei riti si rinviene un orientamento teso ad ammettere altri riti oltre a quello monitorio e camerale, ovvero l’ordinario e, dal 2009, il sommario di cognizione codicistico “puro”, come esplicitato dalle sentenze delle stesse SS. UU. n. 646 del 1968, n. 614 del 1960 e n. 152 del 1966 ciò è ora radicalmente escluso per il periodo successivo all’introduzione del D.lgs n. 150 del 2011: “non è sostenibile che sia rimasta praticabile né la possibilità di esercitare l’azione di cui all’art. 28 citato con il sommario codicistico (n.d.r. differente da quello delineato dall’art. 14 D.lgs n. 150 del 2011) di cui all’art. 702 bis. e ss. c.p.c., né la possibilità di esercitarla con il rito ordinario di cognizione piena”.

Di conseguenza, nel nuovo quadro normativo, l’eventuale opposizione a decreto ingiuntivo emesso nelle materie di cui all’art. 28 della L. 794 del 1942 dovrà essere regolata dal rito sommario di cognizione delineato dall’art. 14 e dagli artt. 3 e 4 del D.lgs n. 150 del 2011, secondo gli ermellini quindi “ne discende che l’atto introduttivo del giudizio di opposizione si deve intendere regolato dall’art. 702-bis c.p.c. e così pure l’attività di costituzione dell’opposto. Peraltro, nel caso di introduzione dell’opposizione con la citazione, la congiunta applicazione del comma 1 del comma 4 del D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 4, renderà l’errore privo di conseguenze”. Tuttavia le SS.UU. specificano che il giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo introducendo con le modalità di cui all’art. 14 del D.lgs n. 150 del 2011 e strutturato con le regole di cui agli art. 702 bis e ss. del c.p.c. vada integrato dalle specifiche norme poste a tutela del creditore tipiche del procedimento monitorio e più nello specifico dagli artt. 648, 649, 653 e 654 c.p.c.

Dopo aver definitivamente escluso ogni possibilità di utilizzo di riti differenti dal monitorio o dal sommario di cognizione “speciale” le SS. UU. ribaltano anche il vecchio orientamento giurisprudenziale (Cass. Sent. n. 5081 del 1986, Cass. Sent. n. 1920 e 12748 del 1993) che impediva l’applicabilità del rito camerale speciale alle controversie vertenti non solo sulla “quantificazione” sic et simpliciter ma anche sulla “sussistenza del credito del legale”, cui veniva preferito il rito ordinario. Ciò viene giustificato sia in virtù dell’esegesi letterale del nuovo articolo 28 sia sulla base della relazione illustrativa al D.lgs n. 150 del 2011.

Da quanto innanzi evidenziato ne consegue che la controversia in questione, tanto se introdotta con rito sommario c.d. speciale, quanto se introdotta con ricorso per decreto ingiuntivo, ha ad oggetto la domanda di condanna del cliente al pagamento delle spettanze giudiziali dell’avvocato tanto se vi sia una contestazione sull’an debeatur quanto se non vi sia e, una volta introdotta, resta soggetta al rito di cui all’art. 14 D.Lgs. n. 150/2011, anche quando il cliente (dell’avvocato) non si limiti a sollevare contestazioni sulla quantificazione del credito, ma sollevi contestazioni in ordine all’esistenza del rapporto, alle prestazioni eseguite ed in genere riguardo all’an debeatur.

In ordine alla procedura di recupero dei compensi dell’avvocato nei confronti del cliente, è quindi esclusa la possibilità di introdurre l’azione sia con il rito di cognizione ordinaria e sia con quello del procedimento sommario ordinario codicistico di cui agli artt. 702-bis e ss. c.p.c.

In pratica, a seguito dell’introduzione dell’art. 14, D.Lgs. n. 150 del 2011, l’avvocato può proporre l’istanza di liquidazione degli onorari:

a) con un ricorso ai sensi dell’art. 702-bisp.c., che dà luogo ad un procedimento sommario “speciale”

b) con il procedimento per decreto ingiuntivo ai sensi degli artt. 633 ss. c.p.c.

In ordine alla competenza per l’accertamento e la riscossione degli onorari nulla è cambiato atteso che il D.Lgs. n. 150/2011 ha operato solo sui riti ma non sulle competenze, con conseguente eventuale competenza anche del giudice di pace, al quale si applica il rito sommario ex art. 14 D.Lgs. n. 150/2011.

Si è quindi detto che ai fini della liquidazione dei compensi nei confronti dei propri assistiti gli avvocati possono tradizionalmente seguire due distinte strade: il ricorso per decreto ingiuntivo e la speciale procedura disciplinata dagli artt. 28,29,30 L. 794/1942, oggi regolata dal rito sommario di cognizione (artt. 702 bis e ss c.p.c.) e quindi dagli artt. 3 e 14 D. Lgs. 150/2011.

Detto ultimo procedimento, applicabile anche al giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, riguarda, secondo la lettera della legge, i compensi legali dovuti per prestazioni giudiziali civili, rimanendone invece esclusi i procedimenti penali e amministrativi.

Si discute in dottrina e giurisprudenza se detta procedura sia comunque applicabile per la liquidazione di compensi relativi all’attività stragiudiziale.

Sul punto esiste un vasto repertorio giurisprudenziale, per lo più riferito a casi di transazioni concluse al di fuori della conciliazione davanti al giudice, per le quali la Suprema Corte ha sempre affermato che “devono considerarsi giudiziali non solo le prestazioni preordinate al compimento degli atti processuali, ma anche quelle che si svolgono fuori dal processo, purché siano strettamente dipendenti dal mandato relativo alla difesa in giudizio” (Cass. 4.12.2009, n. 25675).

Emblematico è stato il recente caso in cui gli Ermellini (Cass. 16.10.2014, n. 21954), chiamati a decidere in merito alla liquidazione delle spese relativi all’attività professionale svolta da un avvocato a favore di una signora in una serie di procedure (modifica condizioni di separazione, esecuzione, rilascio di un immobile, pagamento assegno di mantenimento), nonché per la predisposizione di una querela, tutte volte ad ottenere la modifica e l’attuazione delle obbligazioni sorte in capo al coniuge, seguendo l’orientamento sopra riportato, ha confermato che la procedura camerale prevista dall’art. 28 L. cit. (ora 3 e 14 D. Lgs. 150/2011) per la liquidazione degli onorari di avvocato, pur dettata solo per la liquidazione delle prestazioni giudiziali civili, è ammessa anche per le prestazioni stragiudiziali e penali, allorché esse siano in funzione strumentale o complementare all’attività propriamente processuale.

Nel caso di specie le prestazioni professionali rese dall’avvocato, benché svolte anche in ambito penale e al di fuori del giudizio civile, sono state ritenute possibili oggetto di liquidazione con procedimento sommario, in quanto complementari e attuative degli obblighi derivanti dal procedimento civile di separazione pendente.

Si tratta – secondo un’esegesi consolidata – di una controversia e, quindi, di una correlata domanda, con cui l’avvocato chiede la “liquidazione” delle spettanze della sua attività professionale svolta in un giudizio civile o con l’espletamento di prestazioni professionali che si pongano “in stretto rapporto di dipendenza con il mandato relativo alla difesa o alla rappresentanza giudiziale, in modo da potersi considerare esplicazione di attività strumentale o complementare di quella propriamente processuale” ( Cass. n. 3744 del 2006; n. 13847 del 2007; per la transazione della lite, Cass. n. 25675 del 2009 e Cass. n. 5566 del 2001, per l’estensione anche all’ipotesi in cui la transazione non si sia verificata con conciliazione in sede giudiziale; Cass. n. 2282 del 1963 per l’estensione al difensore dell’avversario nella fattispecie disciplinata dal R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 68; Cass. n. 6402 del 1980 e n. 106 del 1981 per l’attività professionale relativa al precetto ed al pignoramento), restando, invece, esclusa l’attività professionale stragiudiziale civile che non abbia detta natura, quella svolta nel processo penale (anche in funzione dell’esercizio dell’azione civile in sede penale) e amministrativa, o davanti a giudici speciali, ne consegue in conclusione che il procedimento di recupero degli onorari per l’attività stragiudiziale priva delle menzionate caratteristiche, per quella penale, amministrativa e per quella espletata dinnanzi ai giudici speciali potrà seguire le forme ordinarie ex art. 163 e ss.

Dott.ssa Marta Mazzone