Diritti reali: cosa comporta la consegna di un immobile prima della stipula del contratto definitivo

Nella promessa di vendita con consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, il rapporto giuridico che si instaura tra il promissario acquirente e la res oggetto d’acquisto è classificabile come una detenzione qualificata e non come un possesso, a meno che non si provi debitamente che sia avvenuta medio tempore una interversio possessionis ex art. 1164 c.c.

È quanto sancito dalla sentenza n. 3305 del 05.02.2019 della Cassazione, Seconda Sezione Civile, la quale ha stabilito che «nella promessa di vendita, quando viene convenuta la consegna del bene prima della stipula del contratto definitivo, non si verifica un’anticipazione degli effetti traslativi, in quanto la disponibilità conseguita dal promissario acquirente si fonda sull’esistenza di un contratto di comodato funzionalmente collegato al contratto preliminare, produttivo di effetti meramente obbligatori».

Il giudizio de quo traeva origine da un’opposizione al precetto, con il quale le opponenti chiedevano la nullità dell’atto di precetto ed al contempo che venisse accertata e dichiarata l’avvenuta usucapione dell’immobile di cui era chiesto il rilascio. Tanto il giudice di prime cure, che la Corte d’Appello hanno rigettato le suesposte domande attoree qualificando, in linea con il trend giurisprudenziale in materia, il titolo con il quale l’acquirente si era immesso in un contratto di comodato funzionalmente collegato al preliminare, e quindi di per sé inidoneo a fondare alcuna pretesa possessoria.

La Suprema Corte, condividendo quanto deciso nei precedenti gradi di giudizio, ha escluso che «la disponibilità del terreno da parte della I. (opponente), in virtù di consegna anticipata in esecuzione di un contratto preliminare, fosse idonea ad integrare una situazione di possesso ad usucapionem, poiché la disponibilità del bene era fondata sulla detenzione». Precisa inoltre la Cassazione che non è preclusa a prescindere la possibilità per il promissario acquirente di usucapire l’immobile, essendo all’uopo richiesto che quest’ultimo fornisca una prova “esteriormente riconoscibile” della sua volontà di mutare il titolo, «non potendo l’interversione nel possesso avvenire mediante un semplice atto di volizione interna, ma deve estrinsecarsi in un fatto esterno, da cui sia consentito desumere che il possessore nomine alieno ha cessato di possedere in nome altrui e ha iniziato un possesso per conto e in nome proprio».

Gli Ermellini hanno quindi dichiarato inammissibile il ricorso, condannando altresì il ricorrente al versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.

Dott. Alessio Modesti