
Pubblica sicurezza: la conservazione dei dati personali nelle banche dati CED
Con la sentenza del 29/08/2018, n.21362, La Suprema Corte di Cassazione, ha affrontato la questione della conservazione dei dati della persona sottoposta a procedimento penale, anche qualora fosse scagionata, stabilendo che, tali dati possono essere conservati per almeno 20 anni all’interno della CED (Centro Elaborazione Dati Interforze istituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale della Polizia Criminale).
La causa prende avvio dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 24 marzo 2014 che rigettava la domanda di parte attorea in merito alla cancellazione dei suoi dati personali dagli archivi del Centro Elaborazione Dati Interforze istituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale della Polizia Criminale, ed in subordine la trasformazione dei dati in forma anonima.
La violazione contestata concerneva l’iscrizione all’interno della CED, avvenuta a seguito della sottoposizione ad indagini penali, la quale non era stata rimossa, con conseguente pregiudizio alla immagine professionale del ricorrente, nonostante la sua posizione fosse stata ben presto stralciata, essendo stata accertata la sua estraneità ai reati ascrittigli.
Secondo il Tribunale, la cancellazione può essere ordinata, quindi valida, soltanto nell’ipotesi in cui si tratti di dati inesatti o illegittimamente acquisiti, mentre laddove gli stessi risultino incompleti, come nel caso in cui non si sia provveduto all’annotazione del provvedimento di archiviazione o proscioglimento, può disporsene la sola integrazione. Avverso detta pronuncia, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione.
Contrariamente a quanto stabilito dal Tribunale, a parere della Cassazione “ai trattamenti di dati personali effettuati dal CED del Dipartimento della pubblica sicurezza o da forze di polizia sui dati destinati a confluirvi non si applicano gli artt. 9 e 10 (modalità di esercizio dei diritti dell’interessato), 12 (codici di deontologia), 13 (informativa), 16 (cessazione del trattamento), da 18 a 22 (trattamenti effettuati dai soggetti pubblici), 37, art. 38, commi da 1 a 5 (notificazione del trattamento), da 39 a 45 (comunicazione, autorizzazione e trasferimento di dati verso altri Stati) e da 145 a 151 (ricorso al Garante) del codice della privacy”.
Oltre a ciò, secondo la Corte, “l’art. 54 prevede poi che i dati trattati per le finalità di cui all’art. 53 in materia di Pubblica Sicurezza, sono conservati separatamente da quelli registrati per finalità amministrative che non richiedono il loro utilizzo (comma 2), aggiungendo che il CED assicura l’aggiornamento periodico e la pertinenza e non eccedenza dei dati personali trattati (comma 3)”.
La Cassazione, in buona sostanza, sottolinea come la conservazione dei dati in CED possa avvenga per la sola finalità di pubblica sicurezza prevista dalle norme vigenti, in particolare modo: “la cancellazione o l’integrazione dei dati presenti nel CED non è possibile nel caso in cui stato accertato che gli stessi erano esatti e completi nel contenuto, nonché, al momento della raccolta, di provenienza legittima e rapportati agli scopi del CED, e quindi attinenti all’attività di polizia di sicurezza e giudiziaria, precisando che al proprio sindacato restava estranea ogni valutazione inerente alle vicende successive all’acquisizione dei dati”.
Conseguentemente il ricorso veniva rigettato e veniva confermato quanto stabilito nella sentenza impugnata.
Dott. Andres Moreno

Pubblica sicurezza: la conservazione dei dati personali nelle banche dati CED
Con la sentenza del 29/08/2018, n.21362, La Suprema Corte di Cassazione, ha affrontato la questione della conservazione dei dati della persona sottoposta a procedimento penale, anche qualora fosse scagionata, stabilendo che, tali dati possono essere conservati per almeno 20 anni all’interno della CED (Centro Elaborazione Dati Interforze istituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale della Polizia Criminale).
La causa prende avvio dalla sentenza del Tribunale di Roma n. 24 marzo 2014 che rigettava la domanda di parte attorea in merito alla cancellazione dei suoi dati personali dagli archivi del Centro Elaborazione Dati Interforze istituito presso il Dipartimento della Pubblica Sicurezza, Direzione Centrale della Polizia Criminale, ed in subordine la trasformazione dei dati in forma anonima.
La violazione contestata concerneva l’iscrizione all’interno della CED, avvenuta a seguito della sottoposizione ad indagini penali, la quale non era stata rimossa, con conseguente pregiudizio alla immagine professionale del ricorrente, nonostante la sua posizione fosse stata ben presto stralciata, essendo stata accertata la sua estraneità ai reati ascrittigli.
Secondo il Tribunale, la cancellazione può essere ordinata, quindi valida, soltanto nell’ipotesi in cui si tratti di dati inesatti o illegittimamente acquisiti, mentre laddove gli stessi risultino incompleti, come nel caso in cui non si sia provveduto all’annotazione del provvedimento di archiviazione o proscioglimento, può disporsene la sola integrazione. Avverso detta pronuncia, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione.
Contrariamente a quanto stabilito dal Tribunale, a parere della Cassazione “ai trattamenti di dati personali effettuati dal CED del Dipartimento della pubblica sicurezza o da forze di polizia sui dati destinati a confluirvi non si applicano gli artt. 9 e 10 (modalità di esercizio dei diritti dell’interessato), 12 (codici di deontologia), 13 (informativa), 16 (cessazione del trattamento), da 18 a 22 (trattamenti effettuati dai soggetti pubblici), 37, art. 38, commi da 1 a 5 (notificazione del trattamento), da 39 a 45 (comunicazione, autorizzazione e trasferimento di dati verso altri Stati) e da 145 a 151 (ricorso al Garante) del codice della privacy”.
Oltre a ciò, secondo la Corte, “l’art. 54 prevede poi che i dati trattati per le finalità di cui all’art. 53 in materia di Pubblica Sicurezza, sono conservati separatamente da quelli registrati per finalità amministrative che non richiedono il loro utilizzo (comma 2), aggiungendo che il CED assicura l’aggiornamento periodico e la pertinenza e non eccedenza dei dati personali trattati (comma 3)”.
La Cassazione, in buona sostanza, sottolinea come la conservazione dei dati in CED possa avvenga per la sola finalità di pubblica sicurezza prevista dalle norme vigenti, in particolare modo: “la cancellazione o l’integrazione dei dati presenti nel CED non è possibile nel caso in cui stato accertato che gli stessi erano esatti e completi nel contenuto, nonché, al momento della raccolta, di provenienza legittima e rapportati agli scopi del CED, e quindi attinenti all’attività di polizia di sicurezza e giudiziaria, precisando che al proprio sindacato restava estranea ogni valutazione inerente alle vicende successive all’acquisizione dei dati”.
Conseguentemente il ricorso veniva rigettato e veniva confermato quanto stabilito nella sentenza impugnata.
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