Processi brevi, i progetti di riforma

La durata dei processi è un problema che affligge ormai da anni i governi tanto di destra quanto di sinistra, e quello attualmente in carica non è da meno.

Dunque anche l’agenda dell’attuale Ministro della Giustizia annovera tra i nodi da sciogliere quello della riforma della giustizia, con l’obiettivo di riuscire a contemperare l’esigenza di maggiore celerità dei processi, da un lato, con quella di garantire comunque l’accesso alla Giustizia evitando che il cittadino rinunci aprioristicamente ad esercitare i propri diritti perché scoraggiato dalle lungaggini processuali e dai costi da sostenere.

Per tentare di raggiungere l’obiettivo il Ministero sta vagliando la possibilità, per quanto attiene il processo civile, di estendere il rito sommario ad un maggior numero di processi.

Passi in tal senso sono stati già compiuti nelle precedenti legislature (si pensi ad esempio al rito sommario ex art. 702 bis c.p.c. introdotto per i contenziosi di natura prevalentemente documentale, che possono essere decisi senza una articolata istruttoria) ma ora il Ministero sta pensando di estendere il rito del lavoro – senza dubbio più celere rispetto all’ordinario rito di cognizione – ad una casistica più varia.

L’idea non appare errata, c’è però da chiedersi se e come in concreto verrà realizzata dal Legislatore e se poi al dunque in aula sarà concretamente attuata, senza comprimere eccessivamente il contraddittorio fra le parti e compromettere il loro diritto di difesa.

C’è poi da capire quanto in concreto l’auspicata riforma, una volta divenuta realtà, riesca effettivamente ad accorciare i tempi dei processi, perché se è vero che semplificare il rito processuale, ridurre il numero degli atti e di conseguenza anche quello delle udienze è in linea teorica una buona soluzione per accelerare i processi, è vero che la differenza la fa anche per così dire l’agenda dell’Ufficio Giudiziario.

Perché se tra un’udienza di prima comparizione e quella di discussione/decisione continuano ad intercorrere anche anni (come spesso purtroppo accade soprattutto nei giudizi di appello) è evidente che il problema della durata processuale diventa di difficile soluzione solo con la riforma del codice di rito, e forse la strada da seguire per una riforma efficiente della giustizia dovrebbe tener conto anche di interventi economici che implementino il numero degli operatori del settore.

Altra intenzione al vaglio del Ministero è quella di potenziare il processo telematico, già in vigore da qualche anno, e pensare come estenderlo anche ad altri settori della giustizia in cui oggi non è ancora applicato; ma ciò implicherà senza dubbio anche la necessità di trovare le opportune coperture economiche per affrontare i necessari interventi.

Ma al momento si tratta solo di linee guida al vaglio del Ministero, da analizzare con maggior attenzione allorquando verrà presentato un disegno di legge.

Avv. Maddalena Iavazzo