
Riparto dell’attivo: l'intangibilità dell’attività del curatore
La Corte di Cassazione con l’ordinanza n. 16132 del 19.06.2018 ha stabilito che non è possibile rimettere in discussione l’attività di riparto dell’attivo una volta che il soggetto fallito sia tornato in bonis.
Nello specifico un imprenditore individuale creditore di un Comune in dissesto, concludeva con questo due transazioni.
Nell’ambito del successivo fallimento dell’imprenditore, la curatela accettava, nonostante il parere contrario del debitore fallito, una ulteriore transazione che riduceva ulteriormente il credito originario.
L’imprenditore tornato in bonis conveniva in giudizio il Comune e la curatela per l’annullamento o la risoluzione della transazione.
Il Tribunale adito respingeva la domanda attorea e la sentenza veniva confermata in appello.
Contro la sentenza della Corte d’Appello l’imprenditore proponeva ricorso per Cassazione, che veniva rigettato.
Il Collegio ha precisato che il debitore tornato in bonis non può, una volta chiuso il fallimento, rimettere in discussione, con effetti reali, l’operato degli organi della procedura e, nello specifico del curatore, che è un organo del tutto peculiare, posto che cumula la rappresentanza insieme del fallito e della massa, sicché non è in definitiva riconducibile né all’uno né all’altra.
La Corte, a tal proposito ha richiamato la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 4729 del 2018 e Cass. n. 20748 del 2012) che ritiene immanente nell’ordinamento un principio di intangibilità delle attribuzioni patrimoniali effettuate a favore dei creditori in base al piano di riparto, principio ora espressamente codificato nel D. Lgs. 5/2006.
In definitiva, l’ordinanza in commento, ha stabilito che qualora il fallito ritenga di essere stato danneggiato dall’attività del curatore può, una volta recuperata in pieno la sua capacità, attivare la sola tutela risarcitoria e non pretendere di rimettere in discussione l’intangibile e conclusa attività di riparto.
Dott.ssa Giulia Colicchio

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Nello specifico un imprenditore individuale creditore di un Comune in dissesto, concludeva con questo due transazioni.
Nell’ambito del successivo fallimento dell’imprenditore, la curatela accettava, nonostante il parere contrario del debitore fallito, una ulteriore transazione che riduceva ulteriormente il credito originario.
L’imprenditore tornato in bonis conveniva in giudizio il Comune e la curatela per l’annullamento o la risoluzione della transazione.
Il Tribunale adito respingeva la domanda attorea e la sentenza veniva confermata in appello.
Contro la sentenza della Corte d’Appello l’imprenditore proponeva ricorso per Cassazione, che veniva rigettato.
Il Collegio ha precisato che il debitore tornato in bonis non può, una volta chiuso il fallimento, rimettere in discussione, con effetti reali, l’operato degli organi della procedura e, nello specifico del curatore, che è un organo del tutto peculiare, posto che cumula la rappresentanza insieme del fallito e della massa, sicché non è in definitiva riconducibile né all’uno né all’altra.
La Corte, a tal proposito ha richiamato la giurisprudenza di legittimità (Cass. n. 4729 del 2018 e Cass. n. 20748 del 2012) che ritiene immanente nell’ordinamento un principio di intangibilità delle attribuzioni patrimoniali effettuate a favore dei creditori in base al piano di riparto, principio ora espressamente codificato nel D. Lgs. 5/2006.
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Dott.ssa Giulia Colicchio
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