Protezione internazionale e sussidiaria: il no della Cassazione alla richiesta di una donna nigeriana

La Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 1, con ordinanza del 17 aprile 2018, n. 9427 si è pronunciata in merito alla protezione internazionale e sussidiaria.

Nel caso di specie una donna nigeriana si è vista rigettare sia in primo che in secondo grado la richiesta di riconoscimento della protezione internazionale ed umanitaria.

I Giudici di prime e seconde cure hanno ritenuto insussistenti i presupposti a tal fine necessari in virtù del fatto che la richiedente, oltre ad essere in Italia in maniera irregolare da 16 anni e ad essere stata detenuta in carcere per molto tempo, aveva lasciato la Nigeria solo per cercare un Paese in cui vivere in condizioni di vita migliori.

Avverso la pronuncia di secondo grado la donna ha proposto ricorso per Cassazione lamentando la mancata valutazione da parte della Corte d’Appello in merito alla sussistenza dei requisiti necessari per il riconoscimento della protezione sussidiaria e, in via subordinata, umanitaria, in quanto l’Organo giudicante, nonostante i documenti prodotti in giudizio dalla richiedente, non aveva tenuto conto della guerra civile esistente in Nigeria.

La Suprema Corte ha ritenuto errato il ragionamento della Corte territoriale che ha negato il riconoscimento delle misure di protezione ex art. 14, D.Lgs. 251/2007 ed ex art. 5, comma 6, D.Lgs. 286/98 per il solo motivo per cui la richiedente ha lasciato il proprio Paese per cercare in Italia migliori condizioni di vita.

Il Giudice, infatti, stanti le allegazioni di parte, nel compiere la propria valutazione in ordine alla domanda di protezione avrebbe dovuto tener presente (i) che l’art. 14, lett. c), D. Lgs. 251/2007 prevede il riconoscimento della protezione sussidiaria in caso di “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenta indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale” e (ii) che l’art. 8, comma 3, D.Lgs. 25/2008 stabilisce che detta valutazione sia compiuta “alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine”.

Ad un tal riguardo la Suprema Corte ha altresì evidenziato che: “Ai sensi dell’art. 4, D.Lgs. 251 cit., il bisogno di protezione internazionale, infatti, può sorgere anche in un momento successivo rispetto alla partenza del richiedente dal proprio Paese, tanto per ragioni oggettive («avvenimenti») quanto per ragioni soggettive («attività svolte dal richiedente»). La normativa in esame, pertanto, impedisce che la sussistenza di un «rischio effettivo di subire un danno grave» (presupposto della protezione sussidiaria ex art. 2, lett. g), D.Lgs. 251/2007) venga accertata esclusivamente alla stregua della situazione oggettiva e della condizione personale del richiedente come cristallizzate al momento della sua partenza.”

Secondo quanto disposto dalla Suprema Corte, pertanto, la Corte d’Appello avrebbe dovuto verificare la sussistenza del presupposto di cui all’art. 14, lett. c), D. Lgs. 251/2007 che, secondo quanto stabilito dalla Corte di Giustizia con la sentenza n. 172/2009, non richiede necessariamente la prova da parte del richiedente del fatto che il medesimo sia specificamente esposto ad una grave minaccia, poiché detta minaccia può essere eccezionalmente provata anche nel caso in cui “il grado di violenta indiscriminata che caratterizza il conflitto armato in corso (…) raggiunga un livello così elevato che sussistono fondati motivi di ritenere che un civile rientrato nel paese in questione o, se del caso, nella regione in questione correrebbe, per la sua sola presenta sul territorio di questi ultimi, un rischio effettivo di subire la detta minaccia”.

Alla luce di dette considerazioni la Suprema Corte ha pertanto accolto il ricorso cassando la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

Dott.ssa Carmen Giovannini