Acqua contro la cassiera al supermercato: non c’è rapina

dicembre 2nd, 2017|Articoli, Diritto penale, Matteo Pavia|

La Sez. penale della Corte di Cassazione con la sentenza n. 49492/2017 ha affrontato il tema della rapina impropria.

In specie la Suprema Corte rigettava il ricorso proposto dal Procuratore della Repubblica di Varese avverso l’ordinanza del Tribunale monocratico del medesimo luogo, il quale non aveva convalidato un arresto in caso di flagranza di reato di una signora in relazione al reato di rapina impropria.

Il Tribunale riteneva che la condotta posta in essere dalla signora non solo non integrasse nessuna violenza ma non sussistevano gli elementi idonei a giustificare l’arresto facoltativo in quanto l’azione compiuta era priva di pericolosità: infatti nel caso di specie la signora si era limitata a gettare contro la cassiera del supermercato l’acqua contenuta in una bottiglietta di plastica.

L’art. 628 c.p. stabilisce che affinché possa sussistere il reato di rapina è necessario che venga esercitato sul soggetto passivo un vero e proprio costringimento fisico o una forte coartazione della libertà, tale da indurlo contro la sua volontà ad omettere o tollerare qualcosa.

Ricorrendo per Cassazione, il Procuratore della Repubblica sosteneva al contrario l’esistenza degli elementi integranti il reato di rapina in quanto il getto d’acqua della signora aveva colpito e, temporaneamente, limitato l’organo visivo della cassiera.

L’orientamento prevalente dei giudici del palazzaccio riteneva che “ integra il tentativo di rapina impropria la condotta dell’agente che, dopo aver sottratto merce dai banchi di vendita di un supermercato ed averla occultata sulla propria persona, al fine di allontanarsi, usa violenza nei confronti dei dipendenti dell’esercizio commerciale che lo hanno colto in flagranza e trattenuto per il tempo necessario all’esecuzione della consegna agli organi di Polizia, poiché anche i privati cittadini hanno, in simili circostanze, il potere di procedere all’arresto, ai sensi del combinato disposto dell’art. 380 c.p.p., comma 2, lett. f), e art. 383 c.p.p., comma 1, e, pertanto, la reazione violenta dell’autore del fatto non può configurarsi come difesa da un’azione illecita a norma dell’art. 52 c.p.

Alla luce di quanto sopra affermato nel caso in esame la Corte di Cassazione non rinveniva alcun carattere tipico di violenza o costrizione nella condotta posta in essere dalla signora e pertanto provvedeva al rigetto del ricorso proposto.

Dott. Matteo Pavia