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Giustizia sportiva e risarcimento del danno: la sentenza del Consiglio di Stato
“Oggetto della tutela accordabile dalla giustizia sportiva – e poi dal giudice amministrativo investito, in via ulteriore, a rimediare a vizi della prima circa posizioni giuridiche soggettive processuali indisponibili – non concerne la pretesa tutela patrimoniale di asseriti ed esulanti interessi economici privati che si vorrebbero lesi per effetto delle decisioni sportive. La tutela risarcitoria del giudice amministrativo è strumento sussidiario di protezione di beni giuridici indisponibili che non abbiano ricevuto reale protezione ad opera di quest’ultima; deve corrispondere, nei limiti della tutela per equivalente, alla ragione oggettiva dell’originario processo sportivo e dev’essere finalizzata a un ristoro del diritto o dell’interesse fondamentale che sin ab initio si era domandato – evidentemente invano – al giudice sportivo di salvaguardare”: questo è quanto affermato dal Consiglio di Stato, sezione V, con la sentenza n. 3065 del 22 giugno 2017.
Con ricorso al TAR Lazio, una tesserata FIPAV, aveva impugnato gli atti per effetto dei quali, a seguito delle pronunce adottate nei diversi gradi di giudizio dalla giustizia sportiva, era stata condannata a sei mesi di sospensione da ogni attività della suddetta federazione.
Con sentenza n. 3055/16 il ricorso veniva accolto e la FIPAV, resistente soccombente, veniva condanna ad un cospicuo risarcimento del danno.
Avverso tale decisione la FIPAV proponeva appello.
Secondo i Giudici di Palazzo Spada, chiamati a pronunciarsi sulla questione, “la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che la possibilità di ottenere dal giudice amministrativo un risarcimento per equivalente, laddove eventuali scorrettezze nello svolgimento dei gradi della giustizia sportiva abbiano comportato la violazione di diritti indisponibili, è un’alternativa all’usuale tutela demolitoria, che ove attuata avrebbe comportato la rimozione del provvedimento lesivo impugnato. Una siffatta alternativa poggia sulla volontà legislativa di non frustrare, all’atto pratico, l’autonomia dell’ordinamento sportivo, come invece accadrebbe se si consentisse, alla fine, a un giudice “esterno” di sindacare il merito dei provvedimenti ivi adottati. La giustizia sportiva ha per obiettivo di tutelare il rispetto delle regole sportive e degli obiettivi pubblicistici cui l'”attività sportiva” nazionale è ordinata; come già esposto, il corrispondente obiettivo circoscrive l’azione del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. z) Cod. proc., amm. anche quando è chiamato a dare una tutela per equivalente in riferimento a quel contesto”.
Inoltre, prosegue il Collegio, “le voci risarcitorie considerate dall’appellata sentenza non hanno a che vedere con un’ipotetica lesione interna allo sviluppo della “attività sportiva” in ipotesi cagionata dagli atti contestati (nel caso di specie, la sospensione semestrale e le successive pronunce degli organi di giustizia sportiva): esse attengono invece ai figurati minori introiti patrimoniali che la ricorrente ipotizzava di ottenere utilizzando – con contratti personali a motivo commerciale – la propria notorietà raggiunta nell’ordine sportivo”.
Infine, conclude il Consiglio di Stato, “relativamente a tali voci di danno, ancorché provate, il giudice amministrativo adito avrebbe dovuto pronunciare l’inammissibilità del ricorso, trattandosi di questioni per lui prive di ingresso in giustizia”.
L’appello, pertanto, veniva accolto.
Dott. Andrea Paolucci
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Con ricorso al TAR Lazio, una tesserata FIPAV, aveva impugnato gli atti per effetto dei quali, a seguito delle pronunce adottate nei diversi gradi di giudizio dalla giustizia sportiva, era stata condannata a sei mesi di sospensione da ogni attività della suddetta federazione.
Con sentenza n. 3055/16 il ricorso veniva accolto e la FIPAV, resistente soccombente, veniva condanna ad un cospicuo risarcimento del danno.
Avverso tale decisione la FIPAV proponeva appello.
Secondo i Giudici di Palazzo Spada, chiamati a pronunciarsi sulla questione, “la giurisprudenza costituzionale ha chiarito che la possibilità di ottenere dal giudice amministrativo un risarcimento per equivalente, laddove eventuali scorrettezze nello svolgimento dei gradi della giustizia sportiva abbiano comportato la violazione di diritti indisponibili, è un’alternativa all’usuale tutela demolitoria, che ove attuata avrebbe comportato la rimozione del provvedimento lesivo impugnato. Una siffatta alternativa poggia sulla volontà legislativa di non frustrare, all’atto pratico, l’autonomia dell’ordinamento sportivo, come invece accadrebbe se si consentisse, alla fine, a un giudice “esterno” di sindacare il merito dei provvedimenti ivi adottati. La giustizia sportiva ha per obiettivo di tutelare il rispetto delle regole sportive e degli obiettivi pubblicistici cui l'”attività sportiva” nazionale è ordinata; come già esposto, il corrispondente obiettivo circoscrive l’azione del giudice amministrativo ex art. 133, comma 1, lett. z) Cod. proc., amm. anche quando è chiamato a dare una tutela per equivalente in riferimento a quel contesto”.
Inoltre, prosegue il Collegio, “le voci risarcitorie considerate dall’appellata sentenza non hanno a che vedere con un’ipotetica lesione interna allo sviluppo della “attività sportiva” in ipotesi cagionata dagli atti contestati (nel caso di specie, la sospensione semestrale e le successive pronunce degli organi di giustizia sportiva): esse attengono invece ai figurati minori introiti patrimoniali che la ricorrente ipotizzava di ottenere utilizzando – con contratti personali a motivo commerciale – la propria notorietà raggiunta nell’ordine sportivo”.
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