Errore del professionista: sì al risarcimento ma solo se il cliente dimostra la perdita del vantaggio economico

La domanda di risarcimento nei confronti del professionista che abbia violato i propri obblighi può essere accolta se e nei limiti in cui un danno si sia effettivamente verificato; e il Giudice deve valutare se il cliente avrebbe potuto conseguire, con ragionevole certezza, una situazione economicamente più vantaggiosa qualora il professionista avesse diligentemente adempiuto la propria prestazione.”

È quanto statuito dalla Corte d’Appello di Milano con sentenza n. 1448 del 5 aprile 2017 nel richiamare il noto principio di diritto statuito dalla sentenza n. 3657/2013 della Corte di Cassazione.

La pronuncia in commento prendeva avvio dalle doglianze di un contribuente il quale, a seguito di un avviso di accertamento delle imposte promanato dall’Agenzia delle Entrate, si era rivolto a due ragionieri al fine di veder tutelate le proprie ragioni nei confronti del Fisco.

I professionisti in questione proponevano dunque tempestivo ricorso dinanzi la competente Commissione Tributaria Provinciale la quale, in via preliminare e senza entrare nel merito delle questioni dedotte all’interno del ricorso medesimo, ne dichiaravano l’inammissibilità poiché la relativa procura alle liti era stata apposta su foglio separato anziché a margine od in calce all’atto introduttivo.

I due ragionieri impugnavano il provvedimento di inammissibilità della CTP sul presupposto che il ricorso fosse invero del tutto conforme ai presupposti di legge.

La competente Commissione Tributaria Regionale, nel rigettare la proposta impugnazione, confermava la sentenza di prime cure, ritenendo pertanto che la procura alle liti si trovasse su un foglio separato ed aggiunto al ricorso principale.

Il furibondo contribuente decideva dunque di adire il Tribunale di Lodi al fine di veder condannati i predetti ragionieri al risarcimento dei danni causati allo stesso dalla dichiarazione di nullità del mandato e dalla mancata riproposizione dei motivi di merito dinanzi la CTR.

L’intestato Tribunale respingeva la domanda del contribuente attore, il quale proponeva quindi appello avverso la suddetta sentenza dinanzi la Corte d’Appello di Milano la quale, definitivamente pronunciando sulla vicenda processuale sottoposta alla sua attenzione ed uniformandosi al convincimento manifestato dai giudici di prime cure, respingeva l’appello proposto dal contribuente sul presupposto che dagli atti di causa non fosse possibile desumere nessun elemento idoneo a far presumere che il ricorso presentato presso la CTP, laddove fosse stato approfonditamente esaminato nel merito, avrebbe portato all’accoglimento delle ragioni del contribuente.

La predetta pronuncia ha dato peraltro impulso all’analisi, da parte della medesima Corte di Appello adita, di una questione giuridica altamente controversa ed oggetto plurime interpretazioni.

I Giudici dell’Appello hanno infatti colto l’occasione di sottolineare che il professionista assume un’obbligazione di mezzi e non di risultato, nonostante miri con la propria attività al conseguimento di un risultato utile per il cliente.

Ciò che deve essere valutato, ha proseguito la Corte, è il rispetto del dovere di diligenza imposto al professionista dal disposto del secondo comma dell’art. 1176 c.c., ossia che il professionista abbia agito con la diligenza e la responsabilità derivanti dal tipo di attività esercitata.

Di talché, definitivamente cristallizzando un principio oramai consolidato e richiamando all’uopo le statuizioni contenute nella sentenza n. 7618/1997 della Suprema Corte, ha disposto che se la prestazione richiesta al professionista è particolarmente insidiosa e postula la risoluzione di problemi di particolare difficoltà, la responsabilità del medesimo è notevolmente attenuata ed andrà riconosciuta solo in caso di dolo o colpa grave.

Avv. Ermanno Scaramozzino