
Pene inasprite per avvocati e magistrati, il testo alla Camera
In data 24 maggio 2017 il Senato ha approvato il disegno di legge n. 2291 recante “Modifiche agli articoli 317, 319-ter, 346 e 346-bis del codice penale in materia di reati commessi in riferimento all’esercizio di attività giudiziarie”.
Le norme del codice penale che il Senato ha inteso modificare sono – rispettivamente – quelle disciplinanti i reati di concussione, corruzione in atti giudiziari, induzione indebita a dare o promettere utilità, millantato credito e traffico di influenze illecite.
In particolare, col testo del ddl in discorso si è inteso aumentare le pene previste per i suddetti reati “fino alla metà” nel caso in cui gli stessi siano commessi “in relazione all’esercizio di attività giudiziarie”.
Vieppiù, per il reato di corruzione di cui all’art. 319-ter il testo introdotto con le predette modifiche specifica che le pene saranno aumentate fino alla metà se “chi dà o promette al pubblico ufficiale denaro o altra utilità è un magistrato, un appartenente al personale amministrativo degli uffici giudiziari, ovvero esercita professioni forensi”.
Nella relazione illustrativa, di cui il ddl n. 2291 è corredato, si legge che nei casi di coloro che svolgono attività giudiziarie è maggiore l’aspettativa di condotte lecite ed affidabili e che pertanto la differenziazione fra chi ricopre posizioni giudiziarie e chi no “appare giustificata dalla necessità di rimarcare il diverso disvalore sociale della condotta di coloro che svolgono l’attività e le funzioni suindicate rispetto alle altre”.
Il testo dovrà ora passare all’esame della Camera.
Dott.ssa Carmen Giovannini

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In particolare, col testo del ddl in discorso si è inteso aumentare le pene previste per i suddetti reati “fino alla metà” nel caso in cui gli stessi siano commessi “in relazione all’esercizio di attività giudiziarie”.
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Nella relazione illustrativa, di cui il ddl n. 2291 è corredato, si legge che nei casi di coloro che svolgono attività giudiziarie è maggiore l’aspettativa di condotte lecite ed affidabili e che pertanto la differenziazione fra chi ricopre posizioni giudiziarie e chi no “appare giustificata dalla necessità di rimarcare il diverso disvalore sociale della condotta di coloro che svolgono l’attività e le funzioni suindicate rispetto alle altre”.
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