
In carcere per una ‘chiacchierata’ di troppo
La Corte di Cassazione, sez. II Penale con sentenza n. 18760/17; depositata il 14 aprile ha ribadito la sostituzione automatica degli arresti domiciliari con la custodia cautelare in carcere per un uomo.
L’uomo in questione aveva trasgredito il divieto di allontanamento dalla propria abitazione per ‘chiacchierare’ con altre persone ed era stato sorpreso dalle autorità preposte.
Il concetto di abitazione, per la giurisprudenza, è riferibile al luogo in cui la persona conduce la propria vita domestica e privata con esclusione di ogni altra appartenenza, quale aree condominiali, dipendenze, giardini, cortili e simili, che non siano di stretta pertinenza all’abitazione medesima.
Ciò assicura la possibilità alla polizia di reperire in qualsiasi momento l’imputato, con azioni caratterizzate da «prontezza e non aleatorietà» per impedire contatti con l’esterno e il libero movimento della persona.
Con questi presupposti la Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta dell’imputato in quanto, l’allontanamento dall’abitazione, comporta la trasgressione degli arresti domiciliari e determina la revoca obbligatoria degli stessi con il conseguente ripristino della custodia cautelare in carcere.
I Giudici della Corte di Cassazione hanno ribadito che tale azione è il risultato dell’esegesi testuale dell’art. 276, comma 1, c.p.p. che non lascia margini alla discrezionalità del giudice.
Infine la Corte ha condannato il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Dott.ssa Chiara Vaccaro

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Ciò assicura la possibilità alla polizia di reperire in qualsiasi momento l’imputato, con azioni caratterizzate da «prontezza e non aleatorietà» per impedire contatti con l’esterno e il libero movimento della persona.
Con questi presupposti la Corte di Cassazione ha rigettato la richiesta dell’imputato in quanto, l’allontanamento dall’abitazione, comporta la trasgressione degli arresti domiciliari e determina la revoca obbligatoria degli stessi con il conseguente ripristino della custodia cautelare in carcere.
I Giudici della Corte di Cassazione hanno ribadito che tale azione è il risultato dell’esegesi testuale dell’art. 276, comma 1, c.p.p. che non lascia margini alla discrezionalità del giudice.
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