Subprocedimento ex art. 351 c.p.c., l’importanza di chiedere l’accertamento degli atti di disposizione patrimoniale

Recentemente la Corte di Appello di Reggio Calabria – all’esito di un procedimento di inibitoria ex art. 351 codice di procedura civile in cui l’appellato si era difeso non solo contestando la sussistenza dei gravi e fondati motivi di cui all’art. 283 del medesimo civile, ma anche rappresentando e dimostrando alla Corte che l’appellante (istante per la sospensione dell’efficacia esecutiva del provvedimento del Tribunale) medio tempore stava ponendo in essere atti di disposizione patrimoniale idonei al ledere la garanzia dei creditori – in data 2 marzo 2017 ha emesso un’interessante ordinanza di rigetto della richiesta di sospensione.

Infatti la Corte di Appello di Reggio Calabria, a seguito di apposita richiesta formulata dall’appellato con la memoria difensiva di costituzione, ha inteso motivare l’ordinanza di rigetto facendo un sia pur generico riferimento ai documentati atti di disposizione patrimoniale che l’appellante stava ponendo in essere nelle more dell’intrapreso subprocedimento ex art. 351 codice di procedura civile.

L’ordinanza in discorso è particolarmente interessante e tale da meritare un approfondimento.

Molto spesso il debitore soccombente nel primo grado di giudizio dinanzi al Tribunale, per eludere le statuizioni di condanna contenute nel provvedimento di primo grado e al contempo porre in essere negozi giuridici finalizzati a ledere la garanzia patrimoniale del creditore, propone un appello radicalmente infondato o addirittura inammissibile avverso il provvedimento di condanna e successivamente, proprio nell’ambito del proposto gravame, introduce un altrettanto infondato subprocedimento ex art. 351 del codice di procedura civile per ottenere la sospensione anticipata dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado.

A volte con tali condotte il debitore soccombente in primo grado – approfittando delle remore che spesso il creditore si pone nel porre in esecuzione un favorevole provvedimento la cui efficacia esecutiva è messa in discussione nell’ambito del procedimento ex art. 351 del codice di procedura civile – tenta di creare una situazione ideale che gli consenta di depauperare in fretta il proprio patrimonio ed eludere definitivamente il provvedimento di condanna emesso a definizione del giudizio di prime cure.

La conseguenza è che a volte, allorquando sopraggiunge l’ordinanza della Corte di Appello che  rigetta l’infondata richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva dell’impugnato provvedimento, il patrimonio personale del debitore si è ormai ridotto ai minimi termini e al creditore – al fine di ottenere il pagamento di quanto dovuto – non resta che impugnare attraverso i giudizi di revocatoria ex art. 2901 del codice civile gli atti di disposizione patrimoniale posti in essere dal debitore nelle more del subprocedimento ex art. 351 del codice di procedura civile.

Tali azioni revocatorie, tuttavia, hanno un esito estremamente aleatorio in considerazione dell’onere, che in tal caso spetta al creditore, di dimostrare tutti i necessari presupposti di legge dell’azione revocatoria, sia oggettivi (l’eventus damni) che soggettivi (la scientia damni).

In buona sostanza il debitore che propone appello avverso il provvedimento di condanna – se da un lato con il ricorso ex art. 351 del codice di procedura civile rappresenta alla Corte di Appello ragioni infondate di periculum in mora connesse all’eventuale messa in esecuzione in suo danno del gravato provvedimento – dall’altro si priva volutamente, con appositi atti negoziali medio tempore posti in essere, proprio di beni e risorse che invece potrebbe utilizzare per il corretto adempimento degli obblighi derivanti a suo carico.

Ne consegue che spesso il creditore, nelle more del subprocedimento ex art. 351 del codice di procedura civile, accorgendosi di tale situazione si vede costretto ad assistere al compimento di atti di disposizione che, giorno dopo giorno e talvolta con una estrema celerità, diminuiscono progressivamente la sua garanzia patrimoniale rappresentata proprio dal patrimonio del debitore.

In presenza di una tale situazione è del tutto spontaneo chiedersi di quali strumenti di tutela possa avvalersi il creditore in una fase così delicata del giudizio di appello (ovvero nelle more del subrocedimento ex art. 351 del codice di procedura civile).

Egli, se da un lato non vuole rischiare di avviare azioni esecutive o cautelari sulla scorta di un titolo esecutivo messo in discussione nel procedimento di inibitoria ex art. 351 c.p.c., dall’altro rischia seriamente che la possibilità di una futura messa in esecuzione del medesimo titolo risulti in concreto gravemente compromessa dagli atti posti in essere dal debitore per rendere incapiente il proprio patrimonio.

Sicuramente un saggio consiglio – e sul punto si ritiene corretto l’operato dell’appellato nel procedimento deciso dalla Corte di Appello di Reggio Calabria – è quello di non rimanere inerti e di costituirsi nel procedimento ex art. 351 del codice di procedura civile non solo per resistere alla richiesta sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo, dimostrando l’insussistenza dei necessari requisiti del fumus boni iuris e del periculum in mora (ovvero dei gravi e fondati motivi che a norma dell’art. 283 del medesimo codice dovrebbero sorreggere la richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva della sentenza di primo grado), ma anche per denunciare alla Corte di Appello quella condotta che, medio tempore e a latere dell’intrapreso giudizio di gravame, il debitore sta ponendo in essere per privarsi giorno dopo giorno di tutti i suoi beni, avendo cura di illustrare e di documentare nel dettaglio ogni singolo atto di disposizione patrimoniale eventualmente posto in essere dal debitore ed evidenziando che si tratta di condotte che il debitore sta ponendo in essere (magari dopo la notifica della sentenza impugnata, di un precetto o addirittura di un pignoramento)  nella piena consapevolezza di pregiudicare le ragioni del creditore e la sua garanzia patrimoniale.

Si ritiene che rappresentare alla Corte di Appello – nell’ambito del procedimento ex art. 351 del codice di procedura civile – tali condotte del debitore vorrebbe dire non solo smascherare le vere ragioni per le quali è stato proposto un appello con istanza di inibitoria, ma anche rendere conto dell’impellente necessità di mantenere costantemente viva e senza alcuna soluzione di continuità l’efficacia esecutiva della sentenza impugnata, garantendo al creditore la possibilità di agire in ogni sede opportuna per la tutela del suo credito.

Appare estremamente utile chiedere alla Corte di Appello che nell’ordinanza che eventualmente disporrà il rigetto dell’invocata istanza di inibitoria sia espressamente dato detto dell’opera di dismissione patrimoniale posta in essere dal debitore.

In tal caso, infatti, l’eventuale decreto di rigetto della richiesta di sospensione dell’efficacia esecutiva del titolo conterrà, sia pure in via incidentale e nella sua parte motiva, l’accertamento da parte della Corte di Appello del compimento degli atti di disposizione in parola; un accertamento che verrà quindi a costituire la ragione di fondo dell’avvenuto rigetto dell’istanza di inibitoria.

Si ritiene che un’ordinanza di rigetto motivata dalla Corte di Appello sul presupposto del rilevato compimento di atti disposizione patrimoniale da parte del debitore costituisca un provvedimento estremamente utile per agevolare, nelle eventuali azioni revocatorie che il creditore dovrà successivamente promuovere a norma dell’art. 2901 del codice civile e per rimuovere gli effetti pregiudizievoli degli atti dispositivi medio tempore posti in essere dal debitore, l’assolvimento dell’onere della prova.

Infatti, in tal caso, già la Corte di Appello avrà accertato che, successivamente al provvedimento di condanna emesso dal Tribunale o alla sua notifica, il debitore ha consapevolmente posto in essere atti dispositivi potenzialmente idonei ad eludere il relativo dispositivo.

Avv. Prof. Sergio Scicchitano