Alcool test, accompagnamento automobilista non è abuso di potere

Quando le forze di polizia conducono un automobilista ubriaco presso la stazione più vicina ai fini di eseguire l’alcool test non commettono il reato di abuso d’ufficio.

I Giudici della IV sezione penale della Cassazione, infatti, nella recente sentenza n. 17151/17, depositata il 5 aprile u.s., hanno stabilito che l’accompagnamento di un automobilista presso i locali della stazione più vicina ai fini di accertare l’effettivo stato di ebbrezza non concretizza la fattispecie di cui all’articolo 323 c.p. ritenendo in tali ipotesi insussistente una lesione della libertà personale.

Un automobilista veniva condannato dal GIP per guida in stato di ebbrezza per come risultante dell’accertamento effettuato mediante alcooltest, in due successive rivelazioni opportunamente intervallate.

All’esito del giudizio di appello, che ha confermato la sentenza emessa dal GIP, l’automobilista ha deciso di ricorrere per Cassazione avverso la sentenza emessa in grado d’appello adducendo quale motivazione la violazione di legge: ciò poiché, per eseguire gli accertamenti ex art. 186 c. III C.d.S., l’imputato era stato coattivamente condotto in una stazione di Polizia ad una distanza di circa 15 km da dove il fatto era stato accertato, per come risultante dal verbale, a causa del forte odore di alcool.

Lamentava poi l’imputato di non essere stato avvisato della possibilità di avvalersi di un legale di fiducia per l’assistenza.

In ordine a questa ultima circostanza la Corte ha ritenuto l’infondatezza della doglianza, poiché nel verbale era espressamente riportato l’avviso fatto all’imputato. In ordine all’accompagnamento coatto presso gli uffici di polizia giudiziaria la Corte ha ritenuto che l’accertamento cui era stato sottoposto l’imputato, previsto al comma 4 dell’art. 186 C.d.S., che si sostanzia nel rilevare la quantità di alcool nel sangue mediante etilometro non concreti una violazione della libertà personale dell’imputato.

Riferisce la Corte, che tale principio è stato altresì desunto dalla giurisprudenza costituzionale nella sentenza n. 194/1996.

La Corte ha ritenuto non sussiste nessun vizio di costituzionalità nella previsione della facoltà degli agenti di polizia giudiziaria di condurre il conducente negli uffici limitrofi al fine di espletare gli accertamenti del caso ed ha escluso in tali circostanze la sussistenza di una lesione della libertà personale dello stesso.

Il conducente non subisce nessuna coartazione ferma rimanendo la possibilità di rifiutare l’accompagnamento a fronte di un eventuale abuso di potere degli agenti, anche se tale rifiuto può configurare un’autonoma fattispecie di reato.

Ritiene la Cassazione che

[…] l’accompagnamento del conducente presso il più vicino ufficio o comando di polizia dev’essere considerato un dovere di collaborazione, soggetto a sanzione penale in caso di rifiuto. […].

Queste sostanzialmente le argomentazioni addotte dai Giudici di Legittimità per il rigetto del ricorso.

Dott. Marco Campanini