
Cassazione: uccidere la compagna meno grave che uccidere la moglie
Uccidere la compagna è meno grave che uccidere la moglie. È quanto ha stabilito la Cassazione nella sentenza n. 808/2017, pubblicata il 10.1.2017.
Il caso è giunto ai Giudici di Legittimità dopo che la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Roma che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di tentato omicidio in danno della propria convivente.
Nel ricorso, fondato su diversi motivi, l’imputato ha lamentato l’errata applicazione dell’aggravante di cui all’art. 577, comma 2, c.p.
Il Giudice del gravame ha condiviso l’interpretazione del G.U.P. ritenendo corretta la contestazione nel capo d’imputazione, dell’aggravante di cui all’art. 577 c.p., considerandola pertanto applicabile anche nell’ipotesi in cui l’imputato e la persona offesa non siano già legati da un rapporto di coniugio ma da un rapporto di c.d. convivenza more uxorio.
Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione, muovendo dal disposto dell’art. 577 u.c., c.p., ovvero “ In aggiunta a quanto argomentato dalla Suprema Corte nella parte motiva della sentenza ed al fine di meglio chiarire la decisione assunta, si ricorda che a norma degli articoli 12 e 14 delle “Disposizioni sulla Legge in generale”, nell’applicare i disposti normativi non si può ad essi attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato delle parole secondo la connessione di esse e trattandosi di leggi penali non possono applicarsi oltre i casi ed i tempi in esse considerati. Non potendosi procedere, dunque, in luogo di disposizioni penali ad un’interpretazione analogica o estensiva la Cassazione ha correttamente escluso l’aggravante di cui al 577 c.p. contestata all’imputato. Dott. Marco Campanini

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Uccidere la compagna è meno grave che uccidere la moglie. È quanto ha stabilito la Cassazione nella sentenza n. 808/2017, pubblicata il 10.1.2017.
Il caso è giunto ai Giudici di Legittimità dopo che la Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza del G.u.p. del Tribunale di Roma che, all’esito del giudizio abbreviato, aveva dichiarato l’imputato colpevole del reato di tentato omicidio in danno della propria convivente.
Nel ricorso, fondato su diversi motivi, l’imputato ha lamentato l’errata applicazione dell’aggravante di cui all’art. 577, comma 2, c.p.
Il Giudice del gravame ha condiviso l’interpretazione del G.U.P. ritenendo corretta la contestazione nel capo d’imputazione, dell’aggravante di cui all’art. 577 c.p., considerandola pertanto applicabile anche nell’ipotesi in cui l’imputato e la persona offesa non siano già legati da un rapporto di coniugio ma da un rapporto di c.d. convivenza more uxorio.
Nella sentenza in commento la Corte di Cassazione, muovendo dal disposto dell’art. 577 u.c., c.p., ovvero “ In aggiunta a quanto argomentato dalla Suprema Corte nella parte motiva della sentenza ed al fine di meglio chiarire la decisione assunta, si ricorda che a norma degli articoli 12 e 14 delle “Disposizioni sulla Legge in generale”, nell’applicare i disposti normativi non si può ad essi attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato delle parole secondo la connessione di esse e trattandosi di leggi penali non possono applicarsi oltre i casi ed i tempi in esse considerati. Non potendosi procedere, dunque, in luogo di disposizioni penali ad un’interpretazione analogica o estensiva la Cassazione ha correttamente escluso l’aggravante di cui al 577 c.p. contestata all’imputato. Dott. Marco Campanini
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