
Diffamazione, le responsabilità del direttore editoriale
La Suprema Corte, con la sentenza n. 42309 depositata il 6 ottobre del 2016, ha avuto modo di pronunciarsi nuovamente in ordine alla questione della “diffamazione a mezzo stampa”.
Il caso di specie concerne un procedimento promosso ai danni di un direttore di un quotidiano imputato dei reati di cui agli artt. 595, 596, 57 c.p.
Secondo l’accusa, il direttore avrebbe leso la reputazione della persona offesa, affermando, negli articoli pubblicati sul quotidiano da lui diretto, la sua collusione con una associazione criminale di stampo mafioso.
L’imputato veniva quindi condannato in primo grado per i reati a lui ascritti.
La Corte d’Appello, invece, in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di prime cure, lo assolveva per i reati di cui agli artt. 595, 596 c.p., confermando invece la condanna per il reato di cui all’art. 57 c.p.
Adiva la Suprema Corte il direttore, lamentando un evidente errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, la quale avrebbe erroneamente imputato una responsabilità di cui in realtà sarebbe gravato il direttore generale, assumendo questo una posizione di garanzia evincibile dall’art. 57 c.p.
Di talchè la Corte d’Appello applicava in malam partem la disposizione appena citata in evidente contrasto, inoltre, con l’art. 14 delle preleggi.
La Suprema Corte accoglieva il ricorso dell’imputato annullando senza rinvio la sentenza emessa dalla Corte d’Appello in quanto “le figure di direttore responsabile e direttore editoriale non sono affatto assimilabili, rispondendo a modelli antitetici nella struttura imprenditoriale giornalistica. Il direttore responsabile è, infatti, il soggetto che assume la paternità di quanto venga pubblicato, ponendosi per l’art. 57 c.p. in posizione di garanzia, poiché tenuto ad esercitare il controllo atto ad impedire che, con la pubblicazione, vengano commessi reati. Il direttore editoriale detta, invece, le linee di impostazione programmatica e politica del quotidiano, in rappresentanza dell’azienda editrice del prodotto giornalistico” (cfr. Cass. Pen. n. 42125 del 11/07/2011).
Dott. Marco Conti

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Secondo l’accusa, il direttore avrebbe leso la reputazione della persona offesa, affermando, negli articoli pubblicati sul quotidiano da lui diretto, la sua collusione con una associazione criminale di stampo mafioso.
L’imputato veniva quindi condannato in primo grado per i reati a lui ascritti.
La Corte d’Appello, invece, in parziale riforma della sentenza emessa dal giudice di prime cure, lo assolveva per i reati di cui agli artt. 595, 596 c.p., confermando invece la condanna per il reato di cui all’art. 57 c.p.
Adiva la Suprema Corte il direttore, lamentando un evidente errore di diritto in cui sarebbe incorsa la Corte territoriale, la quale avrebbe erroneamente imputato una responsabilità di cui in realtà sarebbe gravato il direttore generale, assumendo questo una posizione di garanzia evincibile dall’art. 57 c.p.
Di talchè la Corte d’Appello applicava in malam partem la disposizione appena citata in evidente contrasto, inoltre, con l’art. 14 delle preleggi.
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