Inammissibilità del ricorso: l’avvocato paga le spese?

La Cassazione, sezione I Penale, con ordinanza n. 6326/2016, dichiara l’inammissibilità del ricorso che, nel caso di specie, era stato redatto da un avvocato abilitato al patrocinio in Cassazione, in sostituzione di un difensore d’ufficio non abilitato, nominato ai sensi dell’art. 97 c.p.p.

A seguito dell’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare nei confronti di un soggetto, imputato per atti di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina, il difensore d’ufficio ricorreva avverso detta ordinanza, nominando un sostituto legale, iscritto nelle liste dei patrocinanti in Cassazione, per la redazione del ricorso.

La Corte immediatamente deduce l’inammissibilità del ricorso stesso.

Premettendo che l’art. 613 c.p.p. consente di proporre ricorso in Cassazione unicamente alla parte che vi provveda personalmente e al suo difensore, se iscritto nell’albo dei patrocinanti alla Corte. Ed, inoltre, che il difetto di abilitazione impedisce al difensore stresso di esercitare tutte le facoltà proprie del mandato accettato, tra le quali quella di poter nominare un sostituto legale per un’attività che altrimenti non sarebbe abilitato a poter svolgere.

Il difensore, assegnato d’ufficio non cassazionista, secondo gli Ermellini, non avrebbe dovuto accettare il mandato e nominare un sostituto, ai sensi dell’art. 102 c.p.p. Infatti, in base a quanto recita il secondo comma di detto articolo, il sostituto esercita i diritti e assume i doveri del difensore, pertanto sono conferiti al sostituto stesso unicamente i diritti e i doveri che già sono stati riconosciuti in capo al difensore. Da ciò consegue logicamente, che se il difensore non ha l’abilitazione di patrocinare in Cassazione, ugualmente il sostituto, anche se abilitato, non potrà efficacemente sostituirlo.

Ulteriore problema affrontato è se, nel caso di declaratoria di inammissibilità del ricorso, l’avvocato possa essere condannato alle spese processuali.

Considerato che il pagamento delle spese processuali, è di norma legato al principio della soccombenza, e che il legislatore ha designato, destinatario delle norme al riguardo, unicamente la parte privata, si dovrebbe dedurre che il difensore, che abbia proposto ricorso sfornito dei necessari poteri di legittimazione, debba essere escluso.

L’orientamento maggioritario della Cassazione afferma che, in caso di difetto di procura o di completa assenza di mandato, l’attività del difensore non si riflette in nessun caso sulla parte, ma ricade interamente ed esclusivamente sulla sua responsabilità. La Corte ritiene adattabile il ragionamento anche al caso di specie, poiché l’inammissibilità del ricorso è imputabile esclusivamente alla scelta del difensore.

Pertanto rimette il ricorso alla decisione delle Sezioni Unite.

Dott.ssa Claudia Barbara Bondanini