
Volontari associazioni: rimborsi spese o compensi?
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 23890/15, depositata il 23 novembre ha affrontato il tema della qualificazione delle somme erogate da associazioni di volontariato ai propri volontari.
Il procedimento trae origine dal ricorso per Cassazione presentato dall’Agenzia delle Entrate avverso la sentenza della commissione Tributaria Regionale che nel riformare la sentenza della Commissione Tributaria Provinciale aveva annullato l’avviso di accertamento con il quale l’Ufficio – previa riqualificazione delle somme erogate dell’Associazione ai propri associati nel 2008 come compensi, invece che come rimborsi spese – recuperava a tassazione la relativa ritenuta alla fonte.
Secondo la Commissione Tributaria Regionale, infatti, le suddette somme dovevano considerarsi rimborsi di spese effettivamente sostenute dai volontari, e non compensi, “sia per l’esiguità della somma annua corrisposta sia per le modalità di pagamento”.
Sul punto occorre prendere le mosse dal disposto dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 266/91, in virtù del quale “Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse“.
A parere degli Ermellini la suddetta disposizione – volta a garantire che i rimborsi spese non mascherino l’erogazione di compensi – implica che gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato in favore dei propri associati non possano essere considerati rimborsi di spese qualora vengano corrisposti “a titolo di rimborso forfettario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori” qualora gli stessi superino i “limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse“.
Quest’ultimi, più in particolare, sono “riferibili a previsioni relative a massimali di rimborso per singolo associato (complessivi o frazionati in tipologie di spese, come, ad esempio, trasporti o indumenti o telefonia) e non all’entità della posta iscritta nel bilancio preventivo dell’associazione per i rimborsi spese agli associati”.
Nel caso di specie dall’atto impositivo, come riportato nella narrativa della sentenza gravata, i rimborsi erano stati erogati in misura forfettaria, senza documentazione delle spese per le quali venivano erogati.
Circostanza quest’ultima del tutto trascurata nella motivazione della sentenza impugnata che pertanto viene cassata con rinvio ad altra sezione della CTR Lombardia.

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Secondo la Commissione Tributaria Regionale, infatti, le suddette somme dovevano considerarsi rimborsi di spese effettivamente sostenute dai volontari, e non compensi, “sia per l’esiguità della somma annua corrisposta sia per le modalità di pagamento”.
Sul punto occorre prendere le mosse dal disposto dell’art. 2, secondo comma, della legge n. 266/91, in virtù del quale “Al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, entro limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse“.
A parere degli Ermellini la suddetta disposizione – volta a garantire che i rimborsi spese non mascherino l’erogazione di compensi – implica che gli esborsi erogati dalle associazioni di volontariato in favore dei propri associati non possano essere considerati rimborsi di spese qualora vengano corrisposti “a titolo di rimborso forfettario, ossia senza specifico collegamento con spese, singolarmente individuate, effettivamente sostenute dai percettori” qualora gli stessi superino i “limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse“.
Quest’ultimi, più in particolare, sono “riferibili a previsioni relative a massimali di rimborso per singolo associato (complessivi o frazionati in tipologie di spese, come, ad esempio, trasporti o indumenti o telefonia) e non all’entità della posta iscritta nel bilancio preventivo dell’associazione per i rimborsi spese agli associati”.
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