“Ottobre Fallimentare”: la nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione e la “convenzione di moratoria”
Il Decreto Legge n. 83 del 27 giugno 2015 recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”, convertito in legge con modifiche con la legge 6 agosto 2015, n. 132, ha sostanzialmente integrato la disciplina prevista dalla Legge Fallimentare in materia di accordo di ristrutturazione debiti ed ha, altresì, introdotto il nuovo istituto della “convenzione di moratoria”.
L’art. 9 del D.L. di riforma qui in esame, infatti, integra la Legge Fallimentare introducendo il nuovo articolo 182 septies (“Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria”).
Tale nuovo articolo a sua volta, com’è espressamente enunciato nel suo primo comma, ha funzione integrativa dell’art. 182 bis della L.F., al quale aggiunge altri tre commi.
La nuova disciplina introdotta da questi ultimi commi, peraltro, si applica solo nell’ipotesi in cui l’accordi di ristrutturazione del debiti riguardi un’impresa il cui indebitamento complessivo sia costituito, in misura non inferiore alla metà, da debiti verso banche ed intermediari finanziari, restando comunque fermi i diritti dei creditori diversi da questi ultimi (art. 10 del D.L., primo comma).
Per tale ipotesi le nuove norme, integrative dell’art. 182 bis della Legge Fallimentare, introdotte dalla riforma prevedono che nell’accordo di ristrutturazione previsto da tale articolo possano essere individuate, nell’ambito dei creditori sopra specificati (banche ed intermediari finanziari) una o più categorie aventi posizione giuridica e interessi economici omogenei.
In tal caso è previsto che il debitore, con il ricorso presentato ex art. 182 bis, primo comma della Legge Fallimentare, può chiedere l’estensione degli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti che, però, appartengano alla medesima categoria.
Tale estensione, peraltro, è subordinata alla condizione che tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative finalizzate all’accordo e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede, nonché all’ulteriore condizione che i crediti dei creditori aderenti all’accordo rappresentino il 75% dei crediti della categoria.
La nuova disciplina, introdotta nell’art. 182 bis dalla riforma, prevede inoltre che, una volta avvenuta la suddetta estensione, i creditori ai quali essa si riferisce – benchè non aderenti – sono comunque considerati aderenti all’accordo ai fini del raggiungimento della soglia del 60% prevista dall’art. 182 bis L.F.
Si prevede, inoltre, che per il conseguimento degli effetti di cui innanzi il debitore debba notificare il ricorso e la documentazione prevista dal primo comma del citato art. 182 bis alle banche e agli intermediari finanziari ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo.
Si prevede, infine, che il Tribunale procede all’omologazione dell’accordo previo accertamento del fatto che le trattative si svolte in buona fede e che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore ha chiesto di estendere gli effetti dell’accordo: 1) abbiano posizione giuridica ed interessi economici omogenei rispetto a quelle delle banche e degli intermediari finanziari aderenti; 2) abbiano avuto informazioni complete ed aggiornate sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui relativi effetti; 3) siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative; 4) possono risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore a quella di ipotesi alternative che siano, però, concretamente praticabili.
La valutazione complessiva di tale nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione introdotta dal D.L. di riforma ad integrazione del precedente testo dell’art. 182 bis della Legge Fallimentare rende evidenti le finalità che con la medesima riforma il legislatore ha inteso perseguire e, cioè, creare più ampie possibilità di salvataggio per le imprese in crisi estendendo gli effetti dell’accordo stipulato dal debitore con le banche e gli intermediari finanziari, sempre che ricorrano le condizioni innanzi precisate, ai creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria ed abbiano posizione giuridica ed interessi economici omogenei rispetto ai creditori (banche e intermediari finanziari) aderenti all’accordo.
In tal senso è rilevante la prevista condizione che i creditori aderenti rappresentino il 75% dei crediti della categoria.
Tale prevista condizione lascia intendere, chiaramente, che il legislatore della riforma ha inteso evitare che i creditori rappresentanti una piccola percentuale dell’indebitamento possano, con la loro opposizione, paralizzare l’accordo pregiudicandone il buon esito.
Va anche notato che il nuovo istituto si colloca nella fase precoce della crisi d’impresa e questo agevola notevolmente le possibilità di risanamento.
L’art. 182 septies della Legge Fallimentare, introdotto con l’art. 9 del D.L. di riforma qui in esame, oltre ad integrare il testo dell’art. 182 bis con le disposizioni innanzi esaminate, introduce nello stesso articolo – aggiungendovi un ulteriore comma – il nuovo istituto della “convenzione di moratoria”.
Tale istituto prevede che, allorquando tra impresa debitrice e una più banche o intermediari finanziari si stipula una convenzione finalizzata a concedere all’impresa in crisi una moratoria temporanea nel pagamento dei crediti e su tale convenzione si sia raggiunta la prescritta e larga maggioranza prevista dal secondo comma del nuovo art. 182 sepities (e cioè la maggioranza del 75% dei crediti della categoria), tale convenzione produce effetti anche nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari non aderenti, purchè, anche in questo caso, questi ulteriori creditori siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e purchè un professionista qualificato attesti l’omogeneità della posizione giuridica fra i creditori interessati alla moratoria.
Ai creditori non aderenti alla convenzione è data, peraltro, la facoltà di proporre opposizione entro trenta giorni dalla comunicazione di essa, chiedendo che la convenzione medesima non abbia effetto nei propri confronti; opposizione su cui decide il Tribunale con decreto motivato reclamabile in Corte di Appello.
Le finalità perseguite dal legislatore con l’introduzione del nuovo istituto della convenzione in moratoria innanzi esaminato sono le stesse indicate in precedenza, vale a dire consentire alle imprese in crisi ulteriori e più ampie possibilità di risanarsi continuando l’attività aziendale usufruendo della convenuta moratoria nel pagamento dei debiti contratti verso banche ed intermediari finanziari, quando vi sia una larga maggioranza dei creditori al riguardo, togliendo rilevanza alla contrarietà di una piccola minoranza di creditori.
“Ottobre Fallimentare”: la nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione e la “convenzione di moratoria”
Il Decreto Legge n. 83 del 27 giugno 2015 recante “Misure urgenti in materia fallimentare, civile e processuale civile e di organizzazione e funzionamento dell’amministrazione giudiziaria”, convertito in legge con modifiche con la legge 6 agosto 2015, n. 132, ha sostanzialmente integrato la disciplina prevista dalla Legge Fallimentare in materia di accordo di ristrutturazione debiti ed ha, altresì, introdotto il nuovo istituto della “convenzione di moratoria”.
L’art. 9 del D.L. di riforma qui in esame, infatti, integra la Legge Fallimentare introducendo il nuovo articolo 182 septies (“Accordo di ristrutturazione con intermediari finanziari e convenzione di moratoria”).
Tale nuovo articolo a sua volta, com’è espressamente enunciato nel suo primo comma, ha funzione integrativa dell’art. 182 bis della L.F., al quale aggiunge altri tre commi.
La nuova disciplina introdotta da questi ultimi commi, peraltro, si applica solo nell’ipotesi in cui l’accordi di ristrutturazione del debiti riguardi un’impresa il cui indebitamento complessivo sia costituito, in misura non inferiore alla metà, da debiti verso banche ed intermediari finanziari, restando comunque fermi i diritti dei creditori diversi da questi ultimi (art. 10 del D.L., primo comma).
Per tale ipotesi le nuove norme, integrative dell’art. 182 bis della Legge Fallimentare, introdotte dalla riforma prevedono che nell’accordo di ristrutturazione previsto da tale articolo possano essere individuate, nell’ambito dei creditori sopra specificati (banche ed intermediari finanziari) una o più categorie aventi posizione giuridica e interessi economici omogenei.
In tal caso è previsto che il debitore, con il ricorso presentato ex art. 182 bis, primo comma della Legge Fallimentare, può chiedere l’estensione degli effetti dell’accordo ai creditori non aderenti che, però, appartengano alla medesima categoria.
Tale estensione, peraltro, è subordinata alla condizione che tutti i creditori della categoria siano stati informati dell’avvio delle trattative finalizzate all’accordo e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede, nonché all’ulteriore condizione che i crediti dei creditori aderenti all’accordo rappresentino il 75% dei crediti della categoria.
La nuova disciplina, introdotta nell’art. 182 bis dalla riforma, prevede inoltre che, una volta avvenuta la suddetta estensione, i creditori ai quali essa si riferisce – benchè non aderenti – sono comunque considerati aderenti all’accordo ai fini del raggiungimento della soglia del 60% prevista dall’art. 182 bis L.F.
Si prevede, inoltre, che per il conseguimento degli effetti di cui innanzi il debitore debba notificare il ricorso e la documentazione prevista dal primo comma del citato art. 182 bis alle banche e agli intermediari finanziari ai quali chiede di estendere gli effetti dell’accordo.
Si prevede, infine, che il Tribunale procede all’omologazione dell’accordo previo accertamento del fatto che le trattative si svolte in buona fede e che le banche e gli intermediari finanziari ai quali il debitore ha chiesto di estendere gli effetti dell’accordo: 1) abbiano posizione giuridica ed interessi economici omogenei rispetto a quelle delle banche e degli intermediari finanziari aderenti; 2) abbiano avuto informazioni complete ed aggiornate sulla situazione patrimoniale, economica e finanziaria del debitore nonché sull’accordo e sui relativi effetti; 3) siano stati messi in condizione di partecipare alle trattative; 4) possono risultare soddisfatti, in base all’accordo, in misura non inferiore a quella di ipotesi alternative che siano, però, concretamente praticabili.
La valutazione complessiva di tale nuova disciplina degli accordi di ristrutturazione introdotta dal D.L. di riforma ad integrazione del precedente testo dell’art. 182 bis della Legge Fallimentare rende evidenti le finalità che con la medesima riforma il legislatore ha inteso perseguire e, cioè, creare più ampie possibilità di salvataggio per le imprese in crisi estendendo gli effetti dell’accordo stipulato dal debitore con le banche e gli intermediari finanziari, sempre che ricorrano le condizioni innanzi precisate, ai creditori non aderenti che appartengono alla medesima categoria ed abbiano posizione giuridica ed interessi economici omogenei rispetto ai creditori (banche e intermediari finanziari) aderenti all’accordo.
In tal senso è rilevante la prevista condizione che i creditori aderenti rappresentino il 75% dei crediti della categoria.
Tale prevista condizione lascia intendere, chiaramente, che il legislatore della riforma ha inteso evitare che i creditori rappresentanti una piccola percentuale dell’indebitamento possano, con la loro opposizione, paralizzare l’accordo pregiudicandone il buon esito.
Va anche notato che il nuovo istituto si colloca nella fase precoce della crisi d’impresa e questo agevola notevolmente le possibilità di risanamento.
L’art. 182 septies della Legge Fallimentare, introdotto con l’art. 9 del D.L. di riforma qui in esame, oltre ad integrare il testo dell’art. 182 bis con le disposizioni innanzi esaminate, introduce nello stesso articolo – aggiungendovi un ulteriore comma – il nuovo istituto della “convenzione di moratoria”.
Tale istituto prevede che, allorquando tra impresa debitrice e una più banche o intermediari finanziari si stipula una convenzione finalizzata a concedere all’impresa in crisi una moratoria temporanea nel pagamento dei crediti e su tale convenzione si sia raggiunta la prescritta e larga maggioranza prevista dal secondo comma del nuovo art. 182 sepities (e cioè la maggioranza del 75% dei crediti della categoria), tale convenzione produce effetti anche nei confronti delle banche e degli intermediari finanziari non aderenti, purchè, anche in questo caso, questi ulteriori creditori siano stati informati dell’avvio delle trattative e siano stati messi in condizione di parteciparvi in buona fede e purchè un professionista qualificato attesti l’omogeneità della posizione giuridica fra i creditori interessati alla moratoria.
Ai creditori non aderenti alla convenzione è data, peraltro, la facoltà di proporre opposizione entro trenta giorni dalla comunicazione di essa, chiedendo che la convenzione medesima non abbia effetto nei propri confronti; opposizione su cui decide il Tribunale con decreto motivato reclamabile in Corte di Appello.
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