Condominio, i limiti del mandato dell’Amministratore

Con sentenza n. 20816/2015 la Suprema Corte si trova a dover valutare i limiti della legittimazione ad agire dell’Amministratore del Condominio.

In particolare si pone la questione se in caso di azione di rivendica l’Amministratore sia titolare di autonomo potere rappresentativo dei Condomini o necessiti di espresso e formale mandato di ciascun condomino.

La Suprema Corte precisa innanzitutto l’oggetto del giudizio.

Alcuni condomini, nel corso di lavori di ristrutturazione del piano soffitte, avevano inglobato il balcone, il w.c. ed il corridoio di disimpegno limitrofi ai propri locali, impossessandosi di presunte aree comuni.

Così ricostruita la vicenda, l’azione dell’Amministratore va inquadrata nella difesa delle parti comuni occupate da alcuni condomini.

A tal proposito la Cassazione ricorda che l’Amministratore può compiere, ai sensi degli artt. 1130 e 1131 c.c., atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell’edificio intendendo con ciò non solo atti materiali (riparazioni di muri portanti, di tetti e lastrici), ma anche giudiziali (azioni contro comportamenti illeciti posti in essere da terzi) necessari per la salvaguardia dell’integrità dell’immobile (cfr Cass. n. 8233 del 2007).

Conseguentemente l’Amministratore non è tenuto ad ottenere il mandato di tutti i condomini, potendo agire ex art. 1130 c.c., n. 4, e art. 1131 c.c. (v. Cass. Sez. Unite n. 18331 del 2011 e più di recente, Cass. n. 28141 del 2013).