
Cliente irreperibile dopo il processo, chi paga l'avvocato?
La Corte di Cassazione con ordinanza n. 13132/15 depositata il 24 giugno 2015 ha cassato con rinvio l’ordinanza n. 13/11/2013 della Corte di Appello di Trento che aveva rigettato l’opposizione proposta da un avvocato avverso il decreto di rigettato della sua domanda di liquidazione del compenso a difensore di ufficio di persone irreperibili.
La Corte di Appello, con l’ordinanza oggetto di ricorso rigettava l’opposizione rilevando:
– che le persone difese dal difensore di ufficio, che erano domiciliati presso il suo studio, si erano rese irreperibili di fatto in un momento successivo ai contatti diretti avuti dal difensore con gli stessi durante il procedimento relativo alla custodia cautelare;
– che pertanto il difensore aveva avuto la possibilità di esercitare la pretesa di pagamento dei compensi e di conseguenza non ricorreva il presupposto richiesto dall’art. 117 DPR 115 del 2002 per la liquidazione del compenso in quanto il difensore non aveva dimostrato di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti.
Tali circostanze a parere dei giudici di merito escludevano l’applicabilità al caso di specie dell’art. 117 DPR 115/2002.
A parere della Corte di Cassazione, invece, le circostanze, poste dalla Corte di Appello a fondamento del rigetto dell’istanza, non sono pertinenti rispetto alla nozione di irreperibilità di cui all’art. 117 DPR 115 del 2002.
Ed infatti, precisa la Corte “se il debitore La condizione di irreperibilità inoltre “deve sussistere al momento in cui il creditore è in grado di azionare la sua pretesa e se a quel momento il procedimento penale si è già concluso e non si faccia questione alcuna in sede di esecuzione, non è dato al giudice emettere più alcun decreto ex art. 160 c.p.p.; la diversa tesi comporterebbe la conclusione – non conforme ai principi costituzionali – che se l’indagato, imputato o condannato non sia stato formalmente dichiarato irreperibile nel procedimento penale e tale si sia reso dopo la conclusione dello stesso, nessun compenso spetterebbe al difensore pur non essendo questi in grado di esperire alcuna procedura recuperatoria nei confronti di quel soggetto”.

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– che le persone difese dal difensore di ufficio, che erano domiciliati presso il suo studio, si erano rese irreperibili di fatto in un momento successivo ai contatti diretti avuti dal difensore con gli stessi durante il procedimento relativo alla custodia cautelare;
– che pertanto il difensore aveva avuto la possibilità di esercitare la pretesa di pagamento dei compensi e di conseguenza non ricorreva il presupposto richiesto dall’art. 117 DPR 115 del 2002 per la liquidazione del compenso in quanto il difensore non aveva dimostrato di avere esperito inutilmente le procedure per il recupero dei crediti.
Tali circostanze a parere dei giudici di merito escludevano l’applicabilità al caso di specie dell’art. 117 DPR 115/2002.
A parere della Corte di Cassazione, invece, le circostanze, poste dalla Corte di Appello a fondamento del rigetto dell’istanza, non sono pertinenti rispetto alla nozione di irreperibilità di cui all’art. 117 DPR 115 del 2002.
Ed infatti, precisa la Corte “se il debitore La condizione di irreperibilità inoltre “deve sussistere al momento in cui il creditore è in grado di azionare la sua pretesa e se a quel momento il procedimento penale si è già concluso e non si faccia questione alcuna in sede di esecuzione, non è dato al giudice emettere più alcun decreto ex art. 160 c.p.p.; la diversa tesi comporterebbe la conclusione – non conforme ai principi costituzionali – che se l’indagato, imputato o condannato non sia stato formalmente dichiarato irreperibile nel procedimento penale e tale si sia reso dopo la conclusione dello stesso, nessun compenso spetterebbe al difensore pur non essendo questi in grado di esperire alcuna procedura recuperatoria nei confronti di quel soggetto”.
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