Sequestro preventivo per equivalente, la sproporzione tra beni sequestrati e valore del profitto
La III Sezione penale della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 37848/2014 ha affermato il principio di diritto secondo il quale, in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il soggetto che rilevi la sproporzione tra valore economico dei beni da confiscare, indicato nel decreto di sequestro, e l’ammontare delle cose sottoposte a vincolo, può contestare tale eccedenza per ottenere una riduzione della garanzia, in sede di istanza di riesame, presentando apposita richiesta al PM ed impugnando con l’appello cautelare l’eventuale provvedimento negativo del GIP, qualora l’istanza di riduzione del sequestro non sia stata accolta.
La Corte ha dapprima respinto il ricorso – con il quale si lamentava la violazione di legge in relazione alla totale carenza di motivazione del provvedimento impugnato – motivando che, per giurisprudenza consolidata in sede di legittimità, “in materia di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero”.
D’altro canto, però, ha affermato che il provvedimento cautelare è legittimo solo se le misure limitative delle libertà reali siano disposte ed eseguite in ossequio ai principi di adeguatezza e proporzionalità e che, quando la sproporzione sia facilmente riscontrabile in sede di riesame, la doglianza può formare oggetto di cognizione da parte del tribunale cautelare in sede di riesame del provvedimento restrittivo.
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