
Irragionevole durata del processo ed equo indennizzo: la sentenza della Cassazione
La Corte di Cassazione con la sentenza n. 13712, depositata il 17 giugno 2014 torma a pronunciarsi in materia di equo indennizzo, ai sensi dell’art. 2, l. n. 89/2001, in relazione all’art. 6 CEDU, per l’eccessiva durata del processo.
Nel caso sottoposto all’attenzione degli Ermellini, la corte territoriale aveva accolto parzialmente la domanda di indennizzo richiesta da un soggetto per l’irragionevole durata di un giudizio ancora pendente in grado di appello senza considerare che però che quest’ultimo grado di merito non era stato ancora definito.
A parere dei giudici di legittimità, infatti, “la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la durata complessiva del giudizio presupposto sino alla data di proposizione della domanda e liquidare l’indennizzo in base alla differenza fra il tempo trascorso e quello, inferiore, che sarebbe stato ragionevole per compiere le medesime attività processuali, operando una giusta proporzione tra quest’ultimo e lo standard temporale di definizione dell’intero giudizio”.
Nel cassare il decreto con rinvio la Corte di Cassazione ha quindi affermato il seguente principio di diritto: “in tema di equa riparazione ex lege n. 89/01, il giudice di merito, allorché il giudizio presupposto sia ancora pendente alla data della proposizione della domanda, deve valutare la durata complessiva di esso così come svoltosi sino a tale momento, e liquidare l’indennizzo in base alla differenza fra il tempo trascorso e quello, inferiore, che sarebbe stato ragionevole per compiere le medesime attività processuali, operando una giusta proporzione tra quest’ultimo e lo standard temporale di definizione dell’intero giudizio”.

Irragionevole durata del processo ed equo indennizzo: la sentenza della Cassazione
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A parere dei giudici di legittimità, infatti, “la Corte d’appello avrebbe dovuto valutare la durata complessiva del giudizio presupposto sino alla data di proposizione della domanda e liquidare l’indennizzo in base alla differenza fra il tempo trascorso e quello, inferiore, che sarebbe stato ragionevole per compiere le medesime attività processuali, operando una giusta proporzione tra quest’ultimo e lo standard temporale di definizione dell’intero giudizio”.
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