Paziente con problemi psichici si autoprovoca dei danni: la struttura sanitaria è responsabile?
La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10832 del 16 maggio 2014, nel pronunciarsi su un caso di responsabilità della struttura sanitaria di Pronto Soccorso per i danni autoarrecatisi da paziente con problemi psichici preso in carico dalla struttura, ha ritenuto illogico ed incoerente il percorso motivazionale seguito dalla corte territoriale che escludeva la culpa in vigilando della struttura sanitaria per non aver adeguatamente vigilato sulla sua paziente.
La Corte, infatti, ha cassato con rinvio la sentenza gravata ritenendo che “se viene ricoverato in pronto soccorso una paziente con problemi psichici reduce da una crisi (non altrimenti si spiega un ricovero nel cuore della notte della C. , già esaminata in un altro ospedale e reindirizzata presso quel pronto soccorso, e accompagnato da agenti di polizia, evidentemente chiamati dai familiari che non erano in grado di “contenerla” o richiamati autonomamente dalle grida), e quindi un soggetto in condizioni di fragilità psichica, che si rivolge al pronto soccorso per un disagio psichico in fase acuta, primo obbligo del pronto soccorso che con l’accettazione prende in carico la paziente, dopo averla visitata e aver disposto la visita psichiatrica, come nel caso di specie è stato fatto, è assicurare che la situazione di attesa di questa paziente (la cui situazione di apparente tranquillità può essere illusoria o simulata, considerate tutte le altre circostanze di fatto e comunque non concludente nel senso di una effettiva tranquillità d’animo) sia svolta in condizioni di sicurezza, per evitarle di nuocere a sé o ad altri pazienti ricoverati”.
Nel caso di specie, a pare dei giudici di legittimità “non è idonea di per sé ad escludere l’inadempimento della struttura sanitaria di pronto soccorso nel vigilare sulla sicurezza di paziente psichiatrica in menomate condizioni di intendere e volere la circostanza che questa sia lasciata sola in una stanza d’ospedale, affidata esclusivamente alla vigilanza di una parente”.
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La Corte, infatti, ha cassato con rinvio la sentenza gravata ritenendo che “se viene ricoverato in pronto soccorso una paziente con problemi psichici reduce da una crisi (non altrimenti si spiega un ricovero nel cuore della notte della C. , già esaminata in un altro ospedale e reindirizzata presso quel pronto soccorso, e accompagnato da agenti di polizia, evidentemente chiamati dai familiari che non erano in grado di “contenerla” o richiamati autonomamente dalle grida), e quindi un soggetto in condizioni di fragilità psichica, che si rivolge al pronto soccorso per un disagio psichico in fase acuta, primo obbligo del pronto soccorso che con l’accettazione prende in carico la paziente, dopo averla visitata e aver disposto la visita psichiatrica, come nel caso di specie è stato fatto, è assicurare che la situazione di attesa di questa paziente (la cui situazione di apparente tranquillità può essere illusoria o simulata, considerate tutte le altre circostanze di fatto e comunque non concludente nel senso di una effettiva tranquillità d’animo) sia svolta in condizioni di sicurezza, per evitarle di nuocere a sé o ad altri pazienti ricoverati”.
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