Concorso in aggravamento danno, sentenza nulla al Tribunale di Crotone

febbraio 28th, 2014|Articoli, Diritto penale|

Il Tribunale di Crotone ha condannato Tizio e Caio per bancarotta fraudolenta aggravata. Nel processo si era costituito parte civile, Sempronio. In caso di condanna, come noto, si applicano gli artt. 538 e 539 del codice di procedura penale.

L’art.538 recita:

«Quando pronuncia sentenza di condanna, il giudice decide sulla domanda per le restituzioni e il risarcimento del danno, proposta a norma degli articoli 74 e seguenti».

L’art.539 recita:

«Il giudice, se le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, pronuncia condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile».

Il Tribunale non ha invece proceduto applicando gli articoli 538 e 539 del codice di procedura penale, così motivando: «Il risarcimento, recita il comma secondo dell’art. 1227 codice civile, non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. In omaggio al principio oggetto di enunciazione ritiene il Tribunale non meritevoli di accoglimento le istanze risarcitorie avanzate da Sempronio costituitosi parte civile».

Conseguenzialmente il Tribunale ha ritenuto di omettere nel dispositivo qualsiasi pronunzia sulla domanda risarcitoria della parte civile. Palese il vizio della sentenza. La Suprema Corte di Cassazione, ha affermato il principio: «In tema di risarcimento del danno, l’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso (art.1227 primo comma) va distinta, anche sul piano processuale da quella (disciplinata dal secondo comma del medesimo articolo) che prevede il verificarsi del solo aggravamento del danno, prodotto dal comportamento dello stesso danneggiato che non abbia, peraltro, contribuito in alcun modo alla sua causazione» (Cass. 25.5.2010, n.12714)

Il Tribunale ha richiamato proprio il suddetto principio per affermare: «Si reputa che Sempronio si sia ben guardato dall’adoperarsi per evitare o, quantomeno, ridurre i pregiudizi che lamenta aver subìto…sicché il descritto e per certi versi censurabile operato ha contribuito materialmente all’aggravarsi della criticità contabile societaria che sarebbe poi sfociata nel dissesto».

Ebbene, l’art. 1227 del codice civile (secondo comma) recita:

«Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza».

Ossia il tipico caso in cui il giudice penale, deve fare ricorso all’art. 539 della procedura penale, pronunciando una condanna generica e rimettendo le parti davanti al giudice civile, così facendo eventualmente accertare il quantum di danno che si sarebbe potuto evitare. Giammai, invece,  il giudice penale potrà ipotizzare l’aggravamento del danno provocato dal creditore e omettere di pronunziarsi sulla domanda della parte civile.

Così facendo, infatti, il Tribunale penale ha risolto anche il quantum dell’aggravamento, senza fare alcuna istruttoria; omettendo di pronunziarsi, altresì violando l’ulteriore consolidato principio, secondo cui: «L’eccezione di cui all’art.1227, comma 2, codice civile, non è rilevabile d’ufficio e deve essere puntualmente sollevata da chi vi abbia interesse in modo analitico e circostanziato» (Cass. 10.11.2009, n.23734, rv. 610120).

Il Tribunale ha inoltre violato l’art. 546 della procedura penale, avendo omesso nel dispositivo qualsiasi pronunzia, quasi che neanche vi fosse una parte civile che avesse richiesto il danno provocato dal reato. La Corte di Cassazione ha affermato che la mancanza o incompletezza del dispositivo comporta la nullità della sentenza. Più recentemente è stato affermato un principio meno rigido, ossia:

«L’omessa indicazione nel dispositivo della sentenza di primo grado delle statuizioni di carattere civile, quantunque dovuta a mera dimenticanza, non può essere sanata ricorrendo alla procedura di correzione dell’errore materiale, ma il giudice d’appello può, entro i limiti del devoluto, emendare tale omissione decidendo nel merito sulle richieste della parte civile senza necessità di annullare il provvedimento impugnato» (Cass., VI, sent. 7643 del 25.2.2010, rv. 246165).