
Fisco, il giudice può annullare i vantaggi ottenuti tramite abuso del diritto
Con la sentenza del 22 febbraio 2013, n. 4535 la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del cosiddetto abuso del diritto in materia tributaria, individuato dalla giurisprudenza comunitaria fin dalla nota sentenza Halifax.
In materia tributaria, il divieto di abuso del diritto si concreta e si traduce in un principio generale antielusivo, che preclude al contribuente il conseguimento di vantaggi fiscali ottenuti mediante l’uso distorto, sebbene non contrastante con alcuna specifica disposizione, di strumenti giuridici idonei ad ottenere un’agevolazione o un risparmio di imposta, in assenza di ragioni economiche apprezzabili che giustifichino l’operazione, diverse dalla mera aspettativa di quei benefici (cfr., ex plurimis, Cass. 6800/09, 4737/10, 20029/10 1372/11).
Affinché una pratica sia considerata abusiva occorre che la stessa, pur formalmente rispettosa del diritto interno o comunitario, miri principalmente ad ottenere benefici fiscali contrastanti con la “ratio” delle norme che introducono il tributo.
In tali casi l’amministrazione finanziaria ed il giudice tributario “hanno il potere di riqualificare i negozi giuridici a fini fiscali, interpretando e qualificando, anche diversamente dalle parti, la natura e gli effetti giuridici dei vari contratti, quali si possono desumere dalla oggettività del loro contenuto e dalla ricognizione positiva del loro significato, e quindi accertare, come nel caso di specie, la simulazione che pregiudichi il diritto dell’Amministrazione alla percezione dell’esatto tributo”.

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