
Testamento olografo, il disconoscimento della scrittura privata va fatto con querela di falso
La Corte di Cassazione con la sentenza n.8272 del 24 maggio 2012, seguendo un indirizzo ormai univoco indicato dalle Sezioni Unite, è tornata di recente ad affermare la necessità che, in tema di impugnazione di testamento olografo, il disconoscimento della scrittura sia effettuato mediante querela di falso, non ritenendosi sufficiente il mero disconoscimento dell’atto.
In passato la Giurisprudenza della Corte si divideva fra un orientamento per cui, in caso di impugnazione di un testamento olografo, fosse necessario proporre la querela di falso, ed altro che invece affermava l’alternatività del citato istituto con quello del semplice disconoscimento di scrittura privata, con decisione rimessa alla libera volontà delle parti.
Di recente tuttavia la Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza 23 giugno 2010 n. 15169) ha stabilito che gli eredi devono per il testamento proporre querela di falso non essendo sufficiente il semplice disconoscimento.
La questione va guardata a più ampio raggio nel senso che la citata sentenza non va letta nel senso di ritenere applicabile l’istituto della querela di falso per le contestazioni di tutte le scritture private in generale, perché se così fosse l’istituto del disconoscimento verrebbe integralmente disapplicato; il problema allora va analizzato con riguardo alle scritture private proveniente da terzi estranei al giudizio.
Più nel dettaglio il contrasto era rilevabile nella Giurisprudenza della Corte che affermava motivatamente che le dette scritture non sono assoggettate alla disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c. e a quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., sicchè non è necessario impugnarle per falsità, mentre in senso diverso, altrettanto motivatamente, si sono pronunciate altre sentenze che hanno affermato che la contestazione dell’autenticità di tali scritture deve avvenire nelle forme di cui agli artt. 221 e ss. c.p.c., perchè si risolve in una eccezione di falso.
La ragione di tale contrasto non risiede però soltanto in un approccio diverso alla normativa in astratto applicabile, ma, molto più comprensibilmente, nasce dal valore probatorio che è oggettivamente attribuibile alla scrittura sottoscritta da terzi e non può prescindersi dal considerare che non tutte le scritture provenienti da terzi hanno lo stesso grado di incidenza processuale (e sostanziale).
Ritenere quindi che la contestazione delle medesime possa avvenire soltanto con la querela di falso significherebbe attribuire ad esse un valore privilegiato nell’ambito delle prove a disposizione del Giudice che non potrebbe trovare giustificazione con riguardo a tutte le scritture provenienti da terzi, ma soltanto per quelle che hanno un intrinseco grado di attendibilità quanto meno sostanziale, come appunto nel caso del testamento olografo; atto che per la natura e la rilevanza che gli sono propri non può essere considerato, sotto il profilo probatorio, assimilabile ad altre scritture provenienti da terzi.
In applicazione di quanto sopra, avremo che solo ove l’atto proveniente dal terzo assuma, per la sua valenza intrinseca, un valore particolare può ritenersi necessaria la querela di falso per contestarne la valenza, mentre invece nei casi ordinari ciò non sia necessario.
In conclusione deve affermarsi il principio secondo cui le scritture private provenienti da terzi possono essere liberamente contestate, non applicandosi alle stesse la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c. né quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., atteso che le stesse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è puramente indiziario e che possono quindi contribuire a fondare il convincimento del giudice in armonia con altri dati probatori acquisiti al processo; tuttavia, nell’ambito delle scritture private deve riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura le connota di una carica di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata (come appunto il testamento olografo), tale da richiedere la querela di falso per contestarne l’autenticità.

Testamento olografo, il disconoscimento della scrittura privata va fatto con querela di falso
La Corte di Cassazione con la sentenza n.8272 del 24 maggio 2012, seguendo un indirizzo ormai univoco indicato dalle Sezioni Unite, è tornata di recente ad affermare la necessità che, in tema di impugnazione di testamento olografo, il disconoscimento della scrittura sia effettuato mediante querela di falso, non ritenendosi sufficiente il mero disconoscimento dell’atto.
In passato la Giurisprudenza della Corte si divideva fra un orientamento per cui, in caso di impugnazione di un testamento olografo, fosse necessario proporre la querela di falso, ed altro che invece affermava l’alternatività del citato istituto con quello del semplice disconoscimento di scrittura privata, con decisione rimessa alla libera volontà delle parti.
Di recente tuttavia la Suprema Corte a Sezioni Unite (sentenza 23 giugno 2010 n. 15169) ha stabilito che gli eredi devono per il testamento proporre querela di falso non essendo sufficiente il semplice disconoscimento.
La questione va guardata a più ampio raggio nel senso che la citata sentenza non va letta nel senso di ritenere applicabile l’istituto della querela di falso per le contestazioni di tutte le scritture private in generale, perché se così fosse l’istituto del disconoscimento verrebbe integralmente disapplicato; il problema allora va analizzato con riguardo alle scritture private proveniente da terzi estranei al giudizio.
Più nel dettaglio il contrasto era rilevabile nella Giurisprudenza della Corte che affermava motivatamente che le dette scritture non sono assoggettate alla disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c. e a quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., sicchè non è necessario impugnarle per falsità, mentre in senso diverso, altrettanto motivatamente, si sono pronunciate altre sentenze che hanno affermato che la contestazione dell’autenticità di tali scritture deve avvenire nelle forme di cui agli artt. 221 e ss. c.p.c., perchè si risolve in una eccezione di falso.
La ragione di tale contrasto non risiede però soltanto in un approccio diverso alla normativa in astratto applicabile, ma, molto più comprensibilmente, nasce dal valore probatorio che è oggettivamente attribuibile alla scrittura sottoscritta da terzi e non può prescindersi dal considerare che non tutte le scritture provenienti da terzi hanno lo stesso grado di incidenza processuale (e sostanziale).
Ritenere quindi che la contestazione delle medesime possa avvenire soltanto con la querela di falso significherebbe attribuire ad esse un valore privilegiato nell’ambito delle prove a disposizione del Giudice che non potrebbe trovare giustificazione con riguardo a tutte le scritture provenienti da terzi, ma soltanto per quelle che hanno un intrinseco grado di attendibilità quanto meno sostanziale, come appunto nel caso del testamento olografo; atto che per la natura e la rilevanza che gli sono propri non può essere considerato, sotto il profilo probatorio, assimilabile ad altre scritture provenienti da terzi.
In applicazione di quanto sopra, avremo che solo ove l’atto proveniente dal terzo assuma, per la sua valenza intrinseca, un valore particolare può ritenersi necessaria la querela di falso per contestarne la valenza, mentre invece nei casi ordinari ciò non sia necessario.
In conclusione deve affermarsi il principio secondo cui le scritture private provenienti da terzi possono essere liberamente contestate, non applicandosi alle stesse la disciplina sostanziale di cui all’art. 2702 c.c. né quella processuale di cui all’art. 214 c.p.c., atteso che le stesse costituiscono prove atipiche il cui valore probatorio è puramente indiziario e che possono quindi contribuire a fondare il convincimento del giudice in armonia con altri dati probatori acquisiti al processo; tuttavia, nell’ambito delle scritture private deve riservarsi diverso trattamento a quelle la cui natura le connota di una carica di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata (come appunto il testamento olografo), tale da richiedere la querela di falso per contestarne l’autenticità.
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