Sostanze stupefacenti e la detenzione punibile

settembre 7th, 2012|Articoli, Diritto penale|

La sentenza in commento si pone come un caso di vera e propria estrema evoluzione interpretativa del concetto di detenzione punibile di sostanza stupefacente.

La pronunzia, infatti, criticando e censurando le carenze motivazionali dell’ordinanza emessa dal Tribunale del Riesame, afferma la indefettibile necessità che l’esame della condotta detentiva avvenga, avendo riguardo a tutte quei canoni valutativi che il legislatore ha introdotto con la novella del 2006, nessuno escluso.

Ma il significato della decisione non si ferma qui.

La Suprema Corte si sofferma, infatti, specificatamente su alcuni altri controversi profili, che hanno fatto versare, a tutt’oggi, fiumi di inchiostro a giurisprudenza e dottrina, senza, peraltro, addivenire a soluzioni univoche.

In particolare la sentenza:

1)            esclude che, a seguito della L. 49/2006 sia stata introdotta un’inversione onere della prova in ordine alla destinazione allo spaccio dello stupefacente;

2)             afferma che il dato ponderale deve essere assoggettato ad un generale criterio di equiparazione sostanziale, rispetto a qualsiasi altro fra gli indicatori contenuti nel comma 1 bis dell’art. 73 dpr 309/90;

3)    riconnette particolare importanza alla indagine valutativa concernente sia la tipologia di confezionamento (unico involucro), sia l’assenza – o la presenza – di strumenti per il taglio dello stupefacente e per la pesatura dello stesso, elementi sintomatici di un successiva diluizione e moltiplicazione del quantitativo originario;

4)            ritiene non eludibile la valutazione della condizione di tossicomania del detentore, delle sue effettive condizioni economiche, onde comprendere se le stesse siano compatibili con l’acquisto di un certo quantitativo di stupefacente, nonché della presunta convenienza del rapporto quantità-prezzo, che legittima la cd. “scorta”.

La Suprema Corte dunque nell’enunciare la sentenza in commento stabilisce a chiara lettere che il semplice superamento dei limiti quantitativi massimi consentiti per la detenzione a fini personali non vale a invertire l’onere della prova a carico dell’imputato, o ad introdurre una sorta di presunzione, sia pure non assoluta, in ordine alla destinazione della droga. Al contrario, impone al giudice un dovere accentuato di motivazione nella valutazione del parametro della “quantità”.

Commento alla sentenza emessa dalla Cassazione penale n. 912/2012

 

Studio Scicchitano