Procura speciale alle liti: è nulla se manca la traduzione in italiano?

novembre 9th, 2019|Articoli, Diritto civile|

Con ordinanza n. 28217 del 2019 la Corte di Cassazione si è soffermata sui presupposti di validità della procura speciale alle liti formata all’estero.

La causa ha ad oggetto la richiesta di risarcimento dei danni dei genitori diretta contro i sanitari sul presupposto di aver causato la morte del figlio il giorno successivo alla nascita. Il Tribunale di Roma accoglieva la domanda, mentre la Corte di Appello di Roma, in sede di gravame, riformava la sentenza di primo grado rigettando la domanda dei genitori.

Pertanto ricorrevano in Cassazione per la riforma della sentenza d’appello.

In via preliminare la Corte rilevava l’inammissibilità dell’impugnazione per l’inidoneità delle procure alle liti rilasciate. Quanto alla posizione di un genitore, la procura speciale alle liti per introdurre il giudizio di legittimità risultava sottoscritta dal procuratore generale alle liti nominato da uno dei ricorrenti residente in Los Angeles in favore di un Avvocato Cassazionista del Foro di Roma.

Secondo gli Ermellini detta procura risultava inidonea alla luce del principio secondo cui “la procura speciale richiesta dall’art. 365 c.p.c. per il giudizio di cassazione deve essere rilasciata direttamente dalla parte o da chi ha il potere di rappresentarla in forza di un mandato generale “ad negotia”; ne consegue che il procuratore generale alle liti non è abilitato a conferire, a nome del proprio rappresentato, né a sé stesso né ad altri la procura speciale necessaria per proporre ricorso per cassazione” (Cass. n., 11765/2002; cfr. anche Cass. n. 7975/1995).

Quanto alla posizione dell’altro genitore, la procura speciale alle liti risultava nulla per difetto di traduzione in lingua italiana dell’attività certificativa svolta, alla luce del principio secondo cui “la procura speciale alle liti rilasciata all’estero, sia pur esente dall’onere di legalizzazione da parte dell’autorità consolare italiana, nonché dalla cd. “apostille”, in conformità alla Convenzione dell’Aja del 5 ottobre 1961, ovvero ad apposita convenzione bilaterale, è nulla, agli effetti della L. 31 maggio 1995, n. 218, art. 12, relativo alla legge regolatrice del processo, ove non sia allegata la traduzione dell’attività certificativa svolta dal notaio, e cioè l’attestazione che la firma sia stata apposta in sua presenza da persona di cui egli abbia accertato l’identità, vigendo pure per gli atti prodromici al processo il principio generale della traduzione in lingua italiana a mezzo di esperto” (Cass. n. 11165/2015; conf. Cass. n. 8174/2018).

Per questi motivi la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Avv. Gavril Zaccaria