Responsabilità professionale: le spese di lite per lo svolgimento del processo
La Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 12894/15, depositata in data 23 giugno 2015, si è pronunciata circa una questione inerente lo svolgimento del processo sulla responsabilità professionale.
La Corte ha chiarito che anche l’assicuratore “deve fare la sua parte” ovvero è tenuto a sopportare le spese di lite dell’assicurato (che ha promosso l’azione) nei limiti stabiliti dall’art. 1917, comma 3, c.c., cioè nei limiti del quarto della somma assicurata.
L’assicuratore, infatti, è obbligato a sopportare le predette spese persino nell’ipotesi in cui all’assicurato nessun danno venga riconosciuto.
La Suprema Corte è pervenuta a tale “decisione”, in primo luogo, poiché nel caso di specie, è risultata troppo generica la contestazione sulla prova del danno patito nel suo preciso ammontare, ai fini della contestazione della modalità equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. adottata; ed in secondo luogo, poiché il danno patrimoniale da perdita di chance, fatto valere da parte ricorrente, è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo.
Peraltro, secondo gli Ermellini, i Giudici di merito si sono limitati a pronunciare in punto di spese legate alla soccombenza tra l’avvocato e l’attore, senza statuire niente riguardo alle spese ex art. 1917, comma 3, c.c., oggetto della diversa obbligazione di fonte legale tra assicuratore ed assicurato.
Per questi motivi, la Corte di Cassazione ha accolto il ricorso incidentale e ha rimandato la decisione alla Corte d’appello di Bologna.
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La Corte ha chiarito che anche l’assicuratore “deve fare la sua parte” ovvero è tenuto a sopportare le spese di lite dell’assicurato (che ha promosso l’azione) nei limiti stabiliti dall’art. 1917, comma 3, c.c., cioè nei limiti del quarto della somma assicurata.
L’assicuratore, infatti, è obbligato a sopportare le predette spese persino nell’ipotesi in cui all’assicurato nessun danno venga riconosciuto.
La Suprema Corte è pervenuta a tale “decisione”, in primo luogo, poiché nel caso di specie, è risultata troppo generica la contestazione sulla prova del danno patito nel suo preciso ammontare, ai fini della contestazione della modalità equitativa ai sensi dell’art. 1226 c.c. adottata; ed in secondo luogo, poiché il danno patrimoniale da perdita di chance, fatto valere da parte ricorrente, è un danno futuro, consistente non nella perdita di un vantaggio economico, ma nella perdita della mera possibilità di conseguirlo.
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