Dal riscaldamento centralizzato al termoautonomo: la Suprema Corte sulla soppressione della caldaia condominiale
Con sentenza n. 8336/2014 la Corte di Cassazione si è trovata a dover accertare la legittimità o meno di una delibera assembleare con cui veniva soppresso il servizio di riscaldamento e condizionamento centralizzato dell’edificio con contestuale sostituzione dello stesso con impianti di climatizzazione autonomi e idonei a realizzare il risparmio energetico secondo le disposizioni della L. 10/91.
In primis la Suprema Corte ha affermato che, in caso di impianto di riscaldamento che non serva tutte le abitazioni dello stabile, ma solo alcune di esse, in mancanza di diversa prova di obbligo di partecipazione alle spese anche da parte di coloro che non beneficiano di tale servizio, la convocazione della relativa assemblea può essere inviata anche ai soli soggetti coinvolti.
Inoltre la Corte ha affrontato anche la questione se la delibera di cessazione dell’impianto comune obsoleto sia viziata dal fatto che l’impianto sostitutivo di cui alla Legge n. 10/1991 non sia stato mai attuato, ma anzi rifiutato dal Condominio tanto che molti condomini si sono dotati di impianti autonomi.
Secondo gli Ermellini occorre distinguere due fasi: la prima riguarda la sola cessazione dell’impianto obsoleto ossia la sua sostituzione per motivi di obsolescenza tecnologica con duplici negativi effetti sul piano dei costi e dell’inquinamento ambientale; la seconda di natura esecutiva attinente ai profili di impatto ambientale, tecnologico e persino economico degli impianti sostitutivi.
Nel caso di specie, applicando detti principi, la Suprema Corte ha concluso che, ai fini della sostituzione dell’impianto di riscaldamento centralizzato con impianti autonomi, “non occorre, ai fini della validità della delibera, che questa sia corredata del progetto e della relazione tecnica di conformità, poiché la legge distingue la fase deliberativa da quella attuativa, attribuendo alla prima la mera valutazione di convenienza economica della trasformazione ed alla seconda gli aspetti progettuali, ai fini della rispondenza del nuovo impianto alle prescrizioni di legge” (Cass. 2009 n. 4216).
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In primis la Suprema Corte ha affermato che, in caso di impianto di riscaldamento che non serva tutte le abitazioni dello stabile, ma solo alcune di esse, in mancanza di diversa prova di obbligo di partecipazione alle spese anche da parte di coloro che non beneficiano di tale servizio, la convocazione della relativa assemblea può essere inviata anche ai soli soggetti coinvolti.
Inoltre la Corte ha affrontato anche la questione se la delibera di cessazione dell’impianto comune obsoleto sia viziata dal fatto che l’impianto sostitutivo di cui alla Legge n. 10/1991 non sia stato mai attuato, ma anzi rifiutato dal Condominio tanto che molti condomini si sono dotati di impianti autonomi.
Secondo gli Ermellini occorre distinguere due fasi: la prima riguarda la sola cessazione dell’impianto obsoleto ossia la sua sostituzione per motivi di obsolescenza tecnologica con duplici negativi effetti sul piano dei costi e dell’inquinamento ambientale; la seconda di natura esecutiva attinente ai profili di impatto ambientale, tecnologico e persino economico degli impianti sostitutivi.
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