
Indebita percezione di erogazioni pubbliche: chiarimenti dalla Cassazione
La sentenza n. 11969 del 26 marzo 2025 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione rappresenta un passo essenziale nella chiarificazione dell’ambito applicativo del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, con particolare riguardo alle agevolazioni previdenziali per i lavoratori in mobilità. La decisione ha valore soprattutto per le implicazioni pratiche riguardanti la responsabilità delle imprese che accedono indebitamente a benefici economici pubblici.
L’articolo 316-ter del Codice Penale punisce chiunque ottenga indebitamente erogazioni pubbliche anche in presenza di un semplice comportamento omissivo, che impedisce l’emersione di una condizione ostativa prevista dalla legge per l’accesso a tali benefici. In altre parole, non è necessaria una condotta fraudolenta vera e propria, come il dolo diretto, per configurare il reato, bensì è sufficiente l’omissione di informazioni rilevanti, che impediscano alle autorità competenti (come l’INPS nel caso in esame) di accertare l’indebito accesso ai fondi.
La sentenza delle S. U. ha, quindi, ampliato il concetto di indebita percezione, definendone la portata attraverso il richiamo a comportamenti penalmente rilevanti ma privi di intenti fraudolenti espliciti, ai fini della incriminazione rilevando già soltanto l’omissione nella documentazione o nell’indicazione delle informazioni necessarie.
Quanto, poi, agli emolumenti che possono costituire il presupposto per la commissione del reato, da un lato, la tesi sostenuta dalla Corte ha privilegiato un’interpretazione non limitata alla pura ricognizione testuale della parola “erogazioni”. In quest’ottica, sarebbero state inquadrabili come tali soltanto le elargizioni di denaro positivamente effettuate dallo Stato o da un ente pubblico in genere.
Facendo, invece, proprio il percorso argomentativo della Corte, non oltrepasserebbe “il confine semantico del testo normativo l’affermazione secondo cui «contributi», «sovvenzioni», «finanziamenti» sono anche quelli indirettamente conseguiti, quando lo Stato o l’ente pubblico non riesca ad ottenere dal privato, in ragione della sua condotta delittuosa, il complessivo importo di quanto da lui effettivamente dovuto a seguito del beneficio economico riconosciutogli dalla legge”.
Dall’altro, essa ha insistito sulla residualità del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche rispetto al delitto di truffa aggravata ex art. 640-bis, com’è fatto palese, del resto, dall’iniziale clausola generale residuale con cui si apre lo stesso art. 316-ter: ciò si spiega perché, mentre per integrare il primo, è necessario che la falsa rappresentazione nella documentazione si inserisca nel contesto di una o più condotte decettive finalizzate al raggiro dell’ente pubblico, onde ottenere indebiti benefici
economici, costituisce, invece, elemento costitutivo dell’indebita percezione già soltanto il comportamento omissivo e anti-doveroso di chi fornisce all’ente medesimo documentazione mendace allo scopo di ottenere risparmi di spesa.
Un aspetto rilevante di questa pronuncia, inoltre, è che, nel caso di agevolazioni erogate periodicamente, come le riduzioni contributive, il reato non si consuma all’atto della percezione di una singola somma, ma continua ad essere consumato fino alla percezione dell’ultimo contributo.
La vicenda esaminata dalla Cassazione riguardava infatti una società che aveva richiesto e ottenuto riduzioni contributive nell’ambito del Programma Operativo Regionale (P.O.R.) Puglia 2000-2006, destinato a favorire l’occupazione in determinate circostanze. La società aveva, però, omesso di fornire adeguata documentazione sul rispetto delle condizioni previste dalla legge 223/1991, che regolamenta le agevolazioni per i lavoratori in mobilità.
Sebbene i lavoratori fossero formalmente assunti in aziende distinte, in realtà tutte le attività venivano svolte da un’unica entità, creando così una situazione irregolare che avrebbe impedito l’accesso alle agevolazioni.
Nonostante l’errore fosse di natura documentale e non fosse accompagnato da evidenti azioni fraudolente, la Corte ha ritenuto che questa omissione fosse sufficiente per configurare il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, poiché l’INPS, basandosi sulle informazioni presentate, aveva proceduto all’erogazione delle agevolazioni. Questo ha comportato un risparmio complessivo per la società di circa 3,3 milioni di euro: denaro che non le sarebbe spettato.
Sul momento consumativo del reato, la Corte ha specificato che, in caso di erogazioni periodiche, come nel caso delle riduzioni contributive, il reato non si conclude nel momento in cui il primo contributo è percepito, ma la sua consumazione si estende fino a quando non viene percepito l’ultimo sgravio contributivo, con una continuità del comportamento illecito fino all’ultimo pagamento. Nel caso esaminato, infatti, la società ha presentato periodicamente richieste di riduzione contributiva attraverso i modelli “DM 10”, con l’ultima richiesta di sgravio presentata a dicembre 2008, il che ha determinato la conclusione della consumazione del reato.
I principi giuridici affermati dalla Corte chiariscono che la responsabilità per indebito accesso a contributi pubblici può aversi anche in assenza di dolo fraudolento, basandosi esclusivamente su comportamenti omissivi che impediscono l’emersione di condizioni ostative.
Le imprese che beneficiano di contributi pubblici o di agevolazioni devono prestare molta attenzione alle informazioni e alla documentazione fornite agli enti competenti, poiché anche una piccola omissione potrebbe tradursi in un reato di indebita percezione, con gravi conseguenze legali ed economiche. In aggiunta, questa decisione solleva anche interrogativi sulla necessità di migliorare i sistemi di controllo delle erogazioni pubbliche, per evitare che simili situazioni di irregolarità possano
ripetersi.
Dott. Gennaro Ferrante

Indebita percezione di erogazioni pubbliche: chiarimenti dalla Cassazione
La sentenza n. 11969 del 26 marzo 2025 delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione rappresenta un passo essenziale nella chiarificazione dell’ambito applicativo del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, con particolare riguardo alle agevolazioni previdenziali per i lavoratori in mobilità. La decisione ha valore soprattutto per le implicazioni pratiche riguardanti la responsabilità delle imprese che accedono indebitamente a benefici economici pubblici.
L’articolo 316-ter del Codice Penale punisce chiunque ottenga indebitamente erogazioni pubbliche anche in presenza di un semplice comportamento omissivo, che impedisce l’emersione di una condizione ostativa prevista dalla legge per l’accesso a tali benefici. In altre parole, non è necessaria una condotta fraudolenta vera e propria, come il dolo diretto, per configurare il reato, bensì è sufficiente l’omissione di informazioni rilevanti, che impediscano alle autorità competenti (come l’INPS nel caso in esame) di accertare l’indebito accesso ai fondi.
La sentenza delle S. U. ha, quindi, ampliato il concetto di indebita percezione, definendone la portata attraverso il richiamo a comportamenti penalmente rilevanti ma privi di intenti fraudolenti espliciti, ai fini della incriminazione rilevando già soltanto l’omissione nella documentazione o nell’indicazione delle informazioni necessarie.
Quanto, poi, agli emolumenti che possono costituire il presupposto per la commissione del reato, da un lato, la tesi sostenuta dalla Corte ha privilegiato un’interpretazione non limitata alla pura ricognizione testuale della parola “erogazioni”. In quest’ottica, sarebbero state inquadrabili come tali soltanto le elargizioni di denaro positivamente effettuate dallo Stato o da un ente pubblico in genere.
Facendo, invece, proprio il percorso argomentativo della Corte, non oltrepasserebbe “il confine semantico del testo normativo l’affermazione secondo cui «contributi», «sovvenzioni», «finanziamenti» sono anche quelli indirettamente conseguiti, quando lo Stato o l’ente pubblico non riesca ad ottenere dal privato, in ragione della sua condotta delittuosa, il complessivo importo di quanto da lui effettivamente dovuto a seguito del beneficio economico riconosciutogli dalla legge”.
Dall’altro, essa ha insistito sulla residualità del reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche rispetto al delitto di truffa aggravata ex art. 640-bis, com’è fatto palese, del resto, dall’iniziale clausola generale residuale con cui si apre lo stesso art. 316-ter: ciò si spiega perché, mentre per integrare il primo, è necessario che la falsa rappresentazione nella documentazione si inserisca nel contesto di una o più condotte decettive finalizzate al raggiro dell’ente pubblico, onde ottenere indebiti benefici
economici, costituisce, invece, elemento costitutivo dell’indebita percezione già soltanto il comportamento omissivo e anti-doveroso di chi fornisce all’ente medesimo documentazione mendace allo scopo di ottenere risparmi di spesa.
Un aspetto rilevante di questa pronuncia, inoltre, è che, nel caso di agevolazioni erogate periodicamente, come le riduzioni contributive, il reato non si consuma all’atto della percezione di una singola somma, ma continua ad essere consumato fino alla percezione dell’ultimo contributo.
La vicenda esaminata dalla Cassazione riguardava infatti una società che aveva richiesto e ottenuto riduzioni contributive nell’ambito del Programma Operativo Regionale (P.O.R.) Puglia 2000-2006, destinato a favorire l’occupazione in determinate circostanze. La società aveva, però, omesso di fornire adeguata documentazione sul rispetto delle condizioni previste dalla legge 223/1991, che regolamenta le agevolazioni per i lavoratori in mobilità.
Sebbene i lavoratori fossero formalmente assunti in aziende distinte, in realtà tutte le attività venivano svolte da un’unica entità, creando così una situazione irregolare che avrebbe impedito l’accesso alle agevolazioni.
Nonostante l’errore fosse di natura documentale e non fosse accompagnato da evidenti azioni fraudolente, la Corte ha ritenuto che questa omissione fosse sufficiente per configurare il reato di indebita percezione di erogazioni pubbliche, poiché l’INPS, basandosi sulle informazioni presentate, aveva proceduto all’erogazione delle agevolazioni. Questo ha comportato un risparmio complessivo per la società di circa 3,3 milioni di euro: denaro che non le sarebbe spettato.
Sul momento consumativo del reato, la Corte ha specificato che, in caso di erogazioni periodiche, come nel caso delle riduzioni contributive, il reato non si conclude nel momento in cui il primo contributo è percepito, ma la sua consumazione si estende fino a quando non viene percepito l’ultimo sgravio contributivo, con una continuità del comportamento illecito fino all’ultimo pagamento. Nel caso esaminato, infatti, la società ha presentato periodicamente richieste di riduzione contributiva attraverso i modelli “DM 10”, con l’ultima richiesta di sgravio presentata a dicembre 2008, il che ha determinato la conclusione della consumazione del reato.
I principi giuridici affermati dalla Corte chiariscono che la responsabilità per indebito accesso a contributi pubblici può aversi anche in assenza di dolo fraudolento, basandosi esclusivamente su comportamenti omissivi che impediscono l’emersione di condizioni ostative.
Le imprese che beneficiano di contributi pubblici o di agevolazioni devono prestare molta attenzione alle informazioni e alla documentazione fornite agli enti competenti, poiché anche una piccola omissione potrebbe tradursi in un reato di indebita percezione, con gravi conseguenze legali ed economiche. In aggiunta, questa decisione solleva anche interrogativi sulla necessità di migliorare i sistemi di controllo delle erogazioni pubbliche, per evitare che simili situazioni di irregolarità possano
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