
Estradizione Italia – Argentina, la Cassazione precisa il legame necessario tra beni e reato
Nel contesto della disciplina relativa all’estradizione, che già di per sé rappresenta un tema alquanto attuale ma al contempo particolarmente complesso, risulta fondamentale approfondire il tema del nesso di pertinenza tra il bene ed il reato.
In relazione a tale tematica la Corte di Cassazione, tramite la sentenza n. 367/2025 del 20 marzo 2025 (R. G. N. 5170/2025), ha fornito un rilevante spunto di riflessione circa la valutazione del nesso di pertinenza e, nel caso di specie, in materia di sequestro.
La predetta sentenza è scaturita da un ricorso avverso la sentenza del 22 gennaio del 2025 della Corte di Appello di Roma – Sezione Minorenni, che aveva ritenuto sussistenti le condizioni necessarie per procedere all’estradizione di un cittadino argentino verso il proprio Paese d’origine.
Nei confronti di tale persona il Tribunale per i minorenni argentino aveva emesso in data 1 marzo 2024 un mandato di arresto internazionale per i delitti di associazione a delinquere e rapina aggravata, previsti dagli artt. 90, 166 e 210 del Codice Penale argentino, commessi in concorso con minorenni e che, in conformità alle leggi processuali argentine, attribuiscono la competenza al menzionato Tribunale.
Preso atto delle norme convenzionali in materia di estradizione, la Corte di Appello di Roma ha ritenuto sussistenti i requisiti per procedere all’estradizione.
Rispetto a tale pronuncia il difensore dell’estradando nel proporre ricorso ha dedotto tre motivi, due dei quali concernono le condizioni di detenzione all’interno delle carceri argentine a causa del sovraffollamento e la violazione di taluni principi costituzionali e dell’art. 8 CEDU in ordine al diritto all’unità familiare; mentre il terzo motivo afferisce al mancato dissequestro di una determinata somma di denaro rinvenuta nell’abitazione dell’estradando al momento dell’arresto.
Orbene, in relazione ai primi due motivi, la Suprema Corte evidenzia che al fine di accertare le condizioni carcerarie, il Giudice di merito deve operare un’attenta valutazione degli elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati, a cui segue l’onere di allegare elementi da cui evincere la sussistenza di eventuali violazioni dei diritti fondamentali della persona.
Secondo un affermato principio di diritto della Suprema Corte relativo al tema del regime carcerario e dell’affollamento delle carceri, si precisa che al di là della possibile variabilità nel tempo dei dati riguardanti taluni profili strutturali, deve comunque rilevarsi che solo in presenza di situazioni diffuse di conclamata incompatibilità, manifestatesi in forme tali da poter essere ricondotte a scelte precise o comunque alla deliberata accettazione delle stesse da parte delle Autorità competenti, può prospettarsi il pericolo concreto di sottoposizione di un detenuto a trattamento inumano o degradante (Corte di Cassazione penale, sez. VI, 27 novembre 2015, n. 47237).
Peraltro, nel pieno rispetto dell’art. 13 della Convenzione di estradizione tra Repubblica Italiana e Repubblica argentina, ratificata con l. 19 febbraio 1992, n, 219, la Corte competente, nel richiedere informazioni relative al regime penitenziario in cui l’estradando era recluso, aveva provveduto a verificare la sussistenza della garanzia al diritto alla salute, all’educazione, al lavoro ai legami familiari e alla libertà di pensiero e informazioni, con anche la sussistenza di sistemi e spazi igienici, sociali e lavorativi consoni ad un trattamento umano.
Ma nel rigettare i primi due motivi, la Cassazione sottolinea al contempo un importante principio di diritto: il necessario legame tra beni e reato.
Nello specifico, nel citare nuovamente la suddetta Convenzione, si è ritenuto necessario precisare che secondo le leggi processuali dell’estradizione, il sequestro assume la finalità di assicurare o una fonte di prova o una futura confisca.
Del resto, è il nostro stesso ordinamento che, all’art. 714 c.p.p., prevede che può essere disposto il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato per il quale è domandata l’estradizione; laddove per “corpo del reato” si intendono le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
Pertanto, la Corte ha ritenuto fondata l’eccezione del difensore dell’estradando con la quale rilevava che la somma di denaro non avesse alcuna attinenza con i fatti di reato ricompresi nella richiesta di estradizione risalenti a tre anni prima. La Corte d’Appello, infatti, aveva erroneamente valorizzato elementi patrimoniali generici, più consoni a una logica di confisca allargata (art. 240-bis c.p.) che esula dalla specifica finalità del sequestro in ambito estradizionale.
In conclusione, la Suprema Corte di Cassazione, pur confermando la legittimità della procedura di estradizione sotto il profilo dei diritti fondamentali e familiari dell’estradando, ha correttamente posto in luce la criticità della decisione della Corte d’Appello in merito al sequestro dei beni.
La pronuncia della Cassazione, pertanto, ribadisce un principio fondamentale: la misura cautelare del sequestro, in questo contesto, è strettamente ancorata alla funzione di garanzia probatoria, e non può essere utilizzata per finalità meramente indizianti o per un generico controllo della situazione patrimoniale dell’indagato.
Dott.ssa Alessia Persichini

Estradizione Italia – Argentina, la Cassazione precisa il legame necessario tra beni e reato
Nel contesto della disciplina relativa all’estradizione, che già di per sé rappresenta un tema alquanto attuale ma al contempo particolarmente complesso, risulta fondamentale approfondire il tema del nesso di pertinenza tra il bene ed il reato.
In relazione a tale tematica la Corte di Cassazione, tramite la sentenza n. 367/2025 del 20 marzo 2025 (R. G. N. 5170/2025), ha fornito un rilevante spunto di riflessione circa la valutazione del nesso di pertinenza e, nel caso di specie, in materia di sequestro.
La predetta sentenza è scaturita da un ricorso avverso la sentenza del 22 gennaio del 2025 della Corte di Appello di Roma – Sezione Minorenni, che aveva ritenuto sussistenti le condizioni necessarie per procedere all’estradizione di un cittadino argentino verso il proprio Paese d’origine.
Nei confronti di tale persona il Tribunale per i minorenni argentino aveva emesso in data 1 marzo 2024 un mandato di arresto internazionale per i delitti di associazione a delinquere e rapina aggravata, previsti dagli artt. 90, 166 e 210 del Codice Penale argentino, commessi in concorso con minorenni e che, in conformità alle leggi processuali argentine, attribuiscono la competenza al menzionato Tribunale.
Preso atto delle norme convenzionali in materia di estradizione, la Corte di Appello di Roma ha ritenuto sussistenti i requisiti per procedere all’estradizione.
Rispetto a tale pronuncia il difensore dell’estradando nel proporre ricorso ha dedotto tre motivi, due dei quali concernono le condizioni di detenzione all’interno delle carceri argentine a causa del sovraffollamento e la violazione di taluni principi costituzionali e dell’art. 8 CEDU in ordine al diritto all’unità familiare; mentre il terzo motivo afferisce al mancato dissequestro di una determinata somma di denaro rinvenuta nell’abitazione dell’estradando al momento dell’arresto.
Orbene, in relazione ai primi due motivi, la Suprema Corte evidenzia che al fine di accertare le condizioni carcerarie, il Giudice di merito deve operare un’attenta valutazione degli elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati, a cui segue l’onere di allegare elementi da cui evincere la sussistenza di eventuali violazioni dei diritti fondamentali della persona.
Secondo un affermato principio di diritto della Suprema Corte relativo al tema del regime carcerario e dell’affollamento delle carceri, si precisa che al di là della possibile variabilità nel tempo dei dati riguardanti taluni profili strutturali, deve comunque rilevarsi che solo in presenza di situazioni diffuse di conclamata incompatibilità, manifestatesi in forme tali da poter essere ricondotte a scelte precise o comunque alla deliberata accettazione delle stesse da parte delle Autorità competenti, può prospettarsi il pericolo concreto di sottoposizione di un detenuto a trattamento inumano o degradante (Corte di Cassazione penale, sez. VI, 27 novembre 2015, n. 47237).
Peraltro, nel pieno rispetto dell’art. 13 della Convenzione di estradizione tra Repubblica Italiana e Repubblica argentina, ratificata con l. 19 febbraio 1992, n, 219, la Corte competente, nel richiedere informazioni relative al regime penitenziario in cui l’estradando era recluso, aveva provveduto a verificare la sussistenza della garanzia al diritto alla salute, all’educazione, al lavoro ai legami familiari e alla libertà di pensiero e informazioni, con anche la sussistenza di sistemi e spazi igienici, sociali e lavorativi consoni ad un trattamento umano.
Ma nel rigettare i primi due motivi, la Cassazione sottolinea al contempo un importante principio di diritto: il necessario legame tra beni e reato.
Nello specifico, nel citare nuovamente la suddetta Convenzione, si è ritenuto necessario precisare che secondo le leggi processuali dell’estradizione, il sequestro assume la finalità di assicurare o una fonte di prova o una futura confisca.
Del resto, è il nostro stesso ordinamento che, all’art. 714 c.p.p., prevede che può essere disposto il sequestro del corpo del reato e delle cose pertinenti al reato per il quale è domandata l’estradizione; laddove per “corpo del reato” si intendono le cose sulle quali o mediante le quali il reato è stato commesso nonché le cose che ne costituiscono il prodotto, il profitto o il prezzo.
Pertanto, la Corte ha ritenuto fondata l’eccezione del difensore dell’estradando con la quale rilevava che la somma di denaro non avesse alcuna attinenza con i fatti di reato ricompresi nella richiesta di estradizione risalenti a tre anni prima. La Corte d’Appello, infatti, aveva erroneamente valorizzato elementi patrimoniali generici, più consoni a una logica di confisca allargata (art. 240-bis c.p.) che esula dalla specifica finalità del sequestro in ambito estradizionale.
In conclusione, la Suprema Corte di Cassazione, pur confermando la legittimità della procedura di estradizione sotto il profilo dei diritti fondamentali e familiari dell’estradando, ha correttamente posto in luce la criticità della decisione della Corte d’Appello in merito al sequestro dei beni.
La pronuncia della Cassazione, pertanto, ribadisce un principio fondamentale: la misura cautelare del sequestro, in questo contesto, è strettamente ancorata alla funzione di garanzia probatoria, e non può essere utilizzata per finalità meramente indizianti o per un generico controllo della situazione patrimoniale dell’indagato.
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