
Commercialista non responsabile per l’accertamento al cliente se i saldi cassa sono negativi
Il caso in esame trae origine da un’azione risarcitoria proposta da una società nei confronti del proprio commercialista, ritenuto responsabile di presunti inadempimenti professionali nella tenuta della contabilità, in particolare per aver mantenuto un saldo cassa costantemente negativo.
Secondo la tesi attorea, infatti, tale anomalia contabile avrebbe indotto l’Agenzia delle Entrate a ritenere la sussistenza di ricavi non dichiarati, con conseguente avvio di un procedimento di accertamento e l’irrogazione di sanzioni e maggiori imposte.
Le domande risarcitorie, fondate sulla presunta grave negligenza del professionista, sono state respinte sia in primo grado che in appello. La società ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, la violazione dell’onere probatorio in materia di responsabilità contrattuale, sostenendo che, in tali ipotesi, sarebbe sufficiente allegare l’inadempimento senza necessità di provare il nesso causale.
Con l’ordinanza n. 9721/2025, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando integralmente la decisione della Corte d’appello. In particolare, la Suprema Corte ha riaffermato il principio, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui in tema di responsabilità contrattuale, l’attore è tenuto a dimostrare non solo l’inadempimento, ma anche il nesso causale tra l’inadempimento e il danno lamentato (ex art. 1218 c.c.).
Ai sensi dell’art. 1218 c.c., il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Tuttavia, tale disposizione è stata letta dalla giurisprudenza in modo tale da gravare l’attore (cioè il creditore che agisce in giudizio) dell’onere di allegare e provare il nesso eziologico tra il dedotto inadempimento e il danno subito.
La Cassazione ha quindi ribadito che il semplice inadempimento non fa automaticamente sorgere il diritto al risarcimento se non è provato che tale condotta (attiva o omissiva) sia stata la causa efficiente del danno. Tale orientamento è conforme ad altre pronunce (ex multis: Cass. civ., sez. III, n. 8849/2021; Cass. civ., sez. III, n. 18392/2017), le quali affermano che l’attore deve fornire una prova rigorosa non solo dell’inadempimento, ma anche del danno e del nesso di causalità materiale.
Nel caso di specie, la società ricorrente lamentava che il professionista, incaricato della tenuta dell’intera contabilità e delle consulenze del lavoro, avesse agito con negligenza nella tenuta del libro cassa, portandolo in negativo. La Corte territoriale, pur dando atto dell’esistenza di alcune anomalie contabili, ha escluso che queste fossero la causa diretta dell’accertamento fiscale, ritenendole insufficienti, da sole, a fondare una responsabilità risarcitoria.
La Suprema Corte ha evidenziato inoltre, che le doglianze della ricorrente sollevavano questioni di merito non sindacabili in sede di legittimità, sottolineando la natura vincolata del giudizio di cassazione, che non può estendersi alla rivalutazione dei fatti di causa, spettante esclusivamente al giudice di merito. Ciò ha fatto sì che la società ricorrente venisse condannata ex art. 96, comma 3, c.p.c., per lite temeraria, in quanto il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. Tale condanna ha natura sanzionatoria e presuppone un abuso del processo, anche sotto il profilo della colpa grave.
Infine, nel confermare il rigetto della domanda risarcitoria, la Corte ha anche richiamato implicitamente l’art. 1227 c.c., che consente di escludere o ridurre il risarcimento qualora il danno sia dipeso, in tutto o in parte, da un comportamento colposo del creditore o da fattori esterni, quali l’iniziativa autonoma della pubblica amministrazione. Nel caso di specie, l’accertamento fiscale risultava infatti determinato da un esame autonomo e oggettivo dei dati reddituali da parte dell’Agenzia delle Entrate, indipendente dall’operato del commercialista.
CONCLUSIONI
La pronuncia della Corte di Cassazione n. 9721/2025 conferma un orientamento rigoroso in tema di responsabilità contrattuale del professionista e chiarisce definitivamente che il danneggiato deve allegare e provare non solo l’inadempimento, ma anche il nesso eziologico con il danno lamentato. Inoltre, il ruolo del giudice di legittimità si limita alla verifica della corretta applicazione del diritto, senza possibilità di rivalutare gli accertamenti fattuali operati nei gradi di merito.
In materia di responsabilità professionale, il principio della prova del nesso causale tra condotta ed evento dannoso continua a rappresentare un argine fondamentale contro azioni risarcitorie pretestuose, specialmente in contesti come quello fiscale, in cui il danno può derivare anche da condotte colpevoli della stessa parte attrice o da autonome iniziative dell’amministrazione finanziaria.
Dott. Guglielmo Bacci

Commercialista non responsabile per l’accertamento al cliente se i saldi cassa sono negativi
Il caso in esame trae origine da un’azione risarcitoria proposta da una società nei confronti del proprio commercialista, ritenuto responsabile di presunti inadempimenti professionali nella tenuta della contabilità, in particolare per aver mantenuto un saldo cassa costantemente negativo.
Secondo la tesi attorea, infatti, tale anomalia contabile avrebbe indotto l’Agenzia delle Entrate a ritenere la sussistenza di ricavi non dichiarati, con conseguente avvio di un procedimento di accertamento e l’irrogazione di sanzioni e maggiori imposte.
Le domande risarcitorie, fondate sulla presunta grave negligenza del professionista, sono state respinte sia in primo grado che in appello. La società ha quindi proposto ricorso per cassazione, lamentando, tra l’altro, la violazione dell’onere probatorio in materia di responsabilità contrattuale, sostenendo che, in tali ipotesi, sarebbe sufficiente allegare l’inadempimento senza necessità di provare il nesso causale.
Con l’ordinanza n. 9721/2025, la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, confermando integralmente la decisione della Corte d’appello. In particolare, la Suprema Corte ha riaffermato il principio, ormai consolidato in giurisprudenza, secondo cui in tema di responsabilità contrattuale, l’attore è tenuto a dimostrare non solo l’inadempimento, ma anche il nesso causale tra l’inadempimento e il danno lamentato (ex art. 1218 c.c.).
Ai sensi dell’art. 1218 c.c., il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Tuttavia, tale disposizione è stata letta dalla giurisprudenza in modo tale da gravare l’attore (cioè il creditore che agisce in giudizio) dell’onere di allegare e provare il nesso eziologico tra il dedotto inadempimento e il danno subito.
La Cassazione ha quindi ribadito che il semplice inadempimento non fa automaticamente sorgere il diritto al risarcimento se non è provato che tale condotta (attiva o omissiva) sia stata la causa efficiente del danno. Tale orientamento è conforme ad altre pronunce (ex multis: Cass. civ., sez. III, n. 8849/2021; Cass. civ., sez. III, n. 18392/2017), le quali affermano che l’attore deve fornire una prova rigorosa non solo dell’inadempimento, ma anche del danno e del nesso di causalità materiale.
Nel caso di specie, la società ricorrente lamentava che il professionista, incaricato della tenuta dell’intera contabilità e delle consulenze del lavoro, avesse agito con negligenza nella tenuta del libro cassa, portandolo in negativo. La Corte territoriale, pur dando atto dell’esistenza di alcune anomalie contabili, ha escluso che queste fossero la causa diretta dell’accertamento fiscale, ritenendole insufficienti, da sole, a fondare una responsabilità risarcitoria.
La Suprema Corte ha evidenziato inoltre, che le doglianze della ricorrente sollevavano questioni di merito non sindacabili in sede di legittimità, sottolineando la natura vincolata del giudizio di cassazione, che non può estendersi alla rivalutazione dei fatti di causa, spettante esclusivamente al giudice di merito. Ciò ha fatto sì che la società ricorrente venisse condannata ex art. 96, comma 3, c.p.c., per lite temeraria, in quanto il ricorso è stato giudicato manifestamente infondato. Tale condanna ha natura sanzionatoria e presuppone un abuso del processo, anche sotto il profilo della colpa grave.
Infine, nel confermare il rigetto della domanda risarcitoria, la Corte ha anche richiamato implicitamente l’art. 1227 c.c., che consente di escludere o ridurre il risarcimento qualora il danno sia dipeso, in tutto o in parte, da un comportamento colposo del creditore o da fattori esterni, quali l’iniziativa autonoma della pubblica amministrazione. Nel caso di specie, l’accertamento fiscale risultava infatti determinato da un esame autonomo e oggettivo dei dati reddituali da parte dell’Agenzia delle Entrate, indipendente dall’operato del commercialista.
CONCLUSIONI
La pronuncia della Corte di Cassazione n. 9721/2025 conferma un orientamento rigoroso in tema di responsabilità contrattuale del professionista e chiarisce definitivamente che il danneggiato deve allegare e provare non solo l’inadempimento, ma anche il nesso eziologico con il danno lamentato. Inoltre, il ruolo del giudice di legittimità si limita alla verifica della corretta applicazione del diritto, senza possibilità di rivalutare gli accertamenti fattuali operati nei gradi di merito.
In materia di responsabilità professionale, il principio della prova del nesso causale tra condotta ed evento dannoso continua a rappresentare un argine fondamentale contro azioni risarcitorie pretestuose, specialmente in contesti come quello fiscale, in cui il danno può derivare anche da condotte colpevoli della stessa parte attrice o da autonome iniziative dell’amministrazione finanziaria.
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