L’Ucraina e la Russia nel mirino del Diritto Internazionale

Sotto il profilo del diritto internazionale, i principi fondamentali che devono necessariamente essere richiamati sono riconducibili alla norma consuetudinaria del rispetto della sovranità territoriale” di uno Stato, l’Ucraina, quale soggetto autonomo e distinto di diritto internazionale, e pertanto riconosciuto nella sua piena integrità territoriale e dei confini sia dalle Nazioni Unite, sia dalle principali organizzazioni internazionali e sia dalla Comunità degli Stati.

A tal proposito si richiama l’articolo 2 paragrafo della Carta delle Nazioni Unite secondo il quale: “I Membri devono astenersi nelle loro relazioni internazionali dalla minaccia o dall’uso della forza, sia contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di qualsiasi Stato, sia in qualunque altra maniera incompatibile con i fini delle Nazioni Unite

È quindi doveroso argomentare che, oltre alla rivendicazione storica della “comune madre Russia”, non si può comunque giustificare alcun legittimo “casus belli”, neanche in nome di un supposto principio di “autodeterminazione dei popoli”.

Nel I protocollo addizionale del 1977 alle Convenzioni di Ginevra e nel Patto sui diritti civili e politici del 1996, si rinvia al principio che legittima le c.d. “guerre di liberazione nazionali”, affermando che è ammesso solo in determinate circostanze, ovvero quando risulta acclarato che “i popoli” sono costretti a lottare “contro la dominazione coloniale e l’occupazione straniera e contro regimi razzisti”. Il riferimento alla nozione di “popolo” e il richiamo ai soli casi indicati, esclude pertanto che il “diritto di autodeterminazione” possa essere esteso alle minoranze etniche, che possono reclamare comunque diritti civili e politici in forme di autonomia amministrativa e rappresentanza politica, senza porre però in discussione l’integrità dello Stato di appartenenza.

Dunque, salvo i casi di dominazione coloniale, regime razzista, o occupazione straniera, nel diritto internazionale rimane inviolabile il principio della sovranità e della integrità territoriale degli Stati. Dunque, se c’è un diritto di autodeterminazione da tutelare, è proprio quello dalla popolazione dell’Ucraina vittima dell’aggressione Russa.

Suddetti principi, sono stati ribaditi nel recente dibattito della comunità internazionale che ha portato all’approvazione dell’articolo 8 bis dello Statuto della Corte Penale Internazionale.

In questa norma si definisce con chiarezza il crimine di “aggressione internazionale, inteso come “l’uso della forza armata da parte di uno Stato contro la sovranità, l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di un altro Stato, o in qualunque altro modo contrario alla Carta delle Nazioni Unite”.

Ulteriore caposaldo del diritto internazionale sono gli obblighi internazionali, tuttora vigenti e pienamente validi, sottoscritti negli Accordi di Helsinki del 1972. Il documento principale è l’Atto Finale di Helsinki in cui sono esplicitamente elencati i principi e gli obblighi giuridici inderogabili.

Inoltre, il diritto internazionale consuetudinario, stabilisce chiaramente che in presenza di un “attacco armato” che minacci la popolazione e l’integrità territoriale di uno Stato, pregiudicandone “il diritto naturale all’autotutela individuale e collettiva”, legittima la difesa realizzata anche da Stati terzi nei confronti dello Stato aggredito. Difatti, già nel 2014 con la prima aggressione della Russia nel Donbass, la Nato dispose la realizzazione di Response Force” e si giunse al negoziato degli accordi di Minsk, che riuscirono ad imporre una prima tregua.

La lettura di codeste norme esplica quindi in maniera chiara come la Russia sia venuta meno agli atti impositivi di diritto internazionale, oltre ad avere travalicato i diritti umani sia del popolo ucraino, sia di buona parte della popolazione russa che non si trova in accordo con questo attacco armato.

Ma ancora, alla luce degli ultimi avvenimenti, l’Ucraina ha richiesto all’Unione Europea un ingresso immediato nella stessa, accelerando dunque di gran lunga il normale procedimento previsto dall’art. 49 del TUE il quale prevede una procedura specifica composta da una richiesta formale al Consiglio dell’Unione Europea da parte dello Stato che intende aderire.

Il Consiglio a sua volta è tenuto ad informare il Parlamento Europeo, la Commissione Europea nonché i parlamenti nazionali della domanda di adesione.

Successivamente e previa consultazione del Consiglio dell’Unione Europea, la Commissione Europea emette un parere sulla domanda di adesione.

Lo status quindi di paese candidato viene concesso dal Consiglio dell’Unione Europea solo a seguito di un parere della Commissione Europea ed è soggetto al consenso da parte del Consiglio europeo.

Ad oggi, l’Unione Europea ha declinato tale richiesta accelerata di ingresso seppure l’Unione Europea abbia già avviato una serie di azioni nei confronti della Russia volte ad indebolire in particolar modo il sistema economico Russo con il rublo che, alla data del 28.02.2022, è crollato fino al 30% rispetto al dollaro e l’attivazione, per la prima volta, di un’“European Peace Facility” volta a procurare armi e assistenza tecnica al governo ucraino.

Dott.ssa Chiara Verdone

Laureanda Giorgia Fazio