Imposte sui redditi: l’onere probatorio per la deducibilità delle perdite sui crediti

La V sezione Civile della Cassazione, con sentenza n. 4567/2019, ha precisato in quali casi è possibile dedurre dal reddito d’impresa le perdita sui crediti non riscossi così affermando: “In tema di imposte sui redditi, non è d’uopo, al fine di ritenere deducibili le perdite sui crediti quali componenti negative del reddito d’impresa, che il creditore fornisca la prova di essersi positivamente attivato per conseguire una dichiarazione giudiziale dell’insolvenza del debitore e, quindi, l’assoggettamento a procedura concorsuale, essendo sufficiente che tali perdite risultino documentate in modo certo e preciso”.

Tale postulato origina da un ricorso dell’Agenzia delle Entrate, inerente a violazione o falsa applicazione dell’art 101, comma 3, TUIR. L’Ufficio frenava la deducibilità, da parte di T. s.r.l., di perdite su crediti, in quanto la società non aveva provveduto ad assolvere l’onus probandi consistente nell’esperimento di un serio tentativo di recupero del credito perso.

Nell’accogliere il motivo di ricorso, la Suprema Corte ribadisce l’obbligatorietà, ai fini dell’operatività della defalcazione, per il contribuente di “equipaggiare” la deduzione con elementi certi da cui ricavare una perdita fiscalmente rilevante. Tale certezza non deve doverosamente derivare da un’attivazione del contribuente per ottenere una dichiarazione giudiziale di insolvenza del debitore, occorrendo solo un’attività documentale precisa. Per asserire tale evidenza della perdita, nei rapporti con operatori stranieri, occorre avere riguardo “all’esistenza di convenzioni internazionali vincolanti anche lo Stato del debitore, idonee a perseguire il debitore stesso per ottenere il pagamento” (v. Cass. Sez V 19/11/2007 n°23863).

Nell’ipotesi in cui non si dimostri la certezza della perdita, gli Ermellini considerano il credito inattuato per intentio creditoris.

Luca Chiaretti