Contratto quadro ex art. 23 Dlgs. n. 58/1998, la violazione dell’obbligo di forma scritta

La Corte di Cassazione con sentenza n. 23927 del 2/10/2018 torna a pronunciarsi su due delicatissime questioni nelle quali il diritto finanziario si incontra con il diritto delle obbligazioni.

In prima battuta la Corte affronta la questione riguardante la necessità o meno della firma dell’intermediario sul contratto quadro predisposto all’investitore e, da quest’ultimo firmato, ai fini del soddisfacimento del requisito di forma ad substantiam richiesto dall’art. 23 del TUF.

La Corte di legittimità, richiamando precedenti pronunce delle Sezioni Unite, si esprime nel senso che laddove il contratto quadro sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed esso rechi la sottoscrizione di quest’ultimo e non anche quella dell’intermediario, il consenso di quest’ultimo ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti ed in ragione di ciò va esclusa la nullità del contratto medesimo, ai sensi dell’art. 1350 c.c., e D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23 (Cass. Sez. U., 16/01/2018, n. 898; Cass. Sez. U., 18/01/2018, n. 1200).

Più delicata è la seconda questione sottoposta all’esame degli ermellini avente ad oggetto le conseguenze della nullità del contratto quadro per difetto di forma. Il giudice di legittimità rileva un primo orientamento della Corte il quale afferma la possibilità dell’investitore di eccepire la nullità di solo alcune (nullità selettiva) delle operazioni di investimento che danno esecuzione al contratto nullo e ciò in base al fatto che la nullità ex art. 23 del TUF è una nullità di protezione ed in quanto tale non può operare a danno della parte tutelata (Cass., 27/04/2016, n. 8395): ciò vuol dire che l’investitore potrà “selezionare” le operazioni da invalidare e potrà recuperare l’investimento ottenendo dall’intermediario la restituzione delle somme versate ai sensi dell’art. 2033 c.c.

D’ altro canto, però, una simile legittimazione si presta facilmente a forme di abuso consentendo all’investitore di trasferire opportunisticamente sull’intermediario l’esito negativo dell’operazione finanziaria; In ragione di ciò sono da segnalare alcune pronunce richiamate dal giudice di legittimità le quali hanno previsto la possibilità dell’intermediario di sollevare l’eccezione di dolo generale nei casi in cui il cliente abusi dello strumento della nullità selettiva operando in violazione dell’obbligo di buona fede ex artt. 1175 e 1375 c.c. (Cass. n. 12388/17); soluzione che però non è stata condivisa da successive pronunce della corte le quali hanno disposto che è opponibile all’investitore l’eccezione di dolo generale fondata sull’uso selettivo della nullità solo in relazione ad un contratto quadro formalmente esistente, e non anche quando questo sia affetto da nullità per difetto della forma prescritta.

Ci si potrebbe chiedere allora se sia ammissibile la domanda riconvenzionale della banca volta ad ottenere dal risparmiatore cedole, dividendi ed ogni altra utilità derivanti da tutte le operazioni effettuate nel tempo per effetto della caducazione del contratto  (Cass., 24/04/2018, n. 10116). In questo caso la nullità del contratto quadro per difetto di forma si ripercuoterebbe su tutte le operazioni eseguite in base all’atto negoziale viziato (Corte d’Appello di Brescia sentenza n. 1290/2013). Le seguenti problematiche, unite alla necessità di trovare un contemperamento tra l’interesse alla tutela dell’investitore, da una parte, e, quello della certezza dei mercati finanziari, dall’altra, hanno spinto la Suprema Corte a rimettere la questione al Primo Presidente per l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite.

Nel caso di specie si parlava dell’impugnazione di una sentenza della Corte d’Appello di Brescia la quale si limitava a dichiarare la parziale compensazione tra quanto dovuto dall’istituto di credito al cliente e quanto quest’ultimo era tenuto a corrispondere all’intermediario, revocando la condanna dell’attore al pagamento del residuo.

Dott. Daniele Moccia