Occupazione abusiva di spazi pubblici: il COSAP è comunque obbligatorio

maggio 13th, 2018|Articoli|

Con l’ordinanza n. 10733/2018 la Corte di Cassazione, sez. II Civile, ha accolto il ricorso avverso la sentenza del Tribunale di Roma che, confermando la sentenza del Giudice di Pace di Roma, ha accolto la domanda proposta da un condominio per l’annullamento dell’avviso di liquidazione per omesso pagamento del canone COSAP (Canone occupazione di spazi e aree pubbliche), essendo tale canone configurato come un corrispettivo di una concessione reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva).

Nel caso di specie il condominio ha occupato, senza una regolare concessione – e quindi abusivamente – il perimetro dell’edificio con griglie ed intercapedini e per tale motivo il Comune di Roma ha preteso il pagamento del canone di occupazione di spazi e aree pubbliche.

Conseguentemente il condominio, impugnando il provvedimento del comune di Roma innanzi al Giudice di Pace di Roma, ha ottenuto l’annullamento dell’avviso di liquidazione in quanto il canone COSAP, richiesto dal Comune, presupponeva l’esistenza di una concessione, che nel caso specifico non era stata rilasciata; la decisione è stata confermata anche dal Giudice d’Appello, ossia dal Tribunale di Roma.

La Corte di Cassazione, accogliendo il ricorso proposto dal Comune di Roma, ha stabilito che: “il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche … è configurato come corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici ed è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare (o eccezionale) che ne trae il singolo.”

Pertanto, alla luce di quanto stabilito dagli Ermellini, il canone COSAP è stato concepito come un quid ontologicamente diverso dalla tassa TOSAP e da ciò ne deriva che è obbligato al pagamento del canone chiunque goda di un’utilizzazione particolare di un’area pubblica.

Pertanto, alla luce delle suesposte considerazioni, la Suprema Corte ha cassato la sentenza impugnata rinviando la causa innanzi al Giudice d’Appello, ossia il Tribunale di Roma, in persona di un diverso magistrato.

Dott. Adriano Izzo