Avvocati senza incarico professionale: nessuna responsabilità per le “cause perse”

Con sentenza n. 13008 depositata il 23 giugno 2016, la Suprema Corte è tornata a pronunciarsi in materia di responsabilità professionale.

Nel caso di specie la Suprema Corte ha esaminato un ricorso presentato dagli eredi di un uomo che era deceduto a seguito di un sinistro stradale.

Gli eredi, convenivano in giudizio un avvocato, chiedendo la condanna dello stesso al risarcimento dei danni per colpa professionale, in quanto l’avvocato aveva omesso di promuovere il giudizio risarcitorio nei confronti dell’Anas prescrivendosi il diritto al risarcimento danni. Il giudizio in primo grado si definiva con sentenza di accoglimento, che l’avvocato impugnava dinnanzi alla Corte d’appello di Lecce.

Il Giudice di secondo grado, pur evidenziando che il legale aveva sconsigliato di proporre l’azione giudiziaria nei confronti dell’Anas, ritenevano di dover riformare la sentenza di primo grado.

A supporto di ciò, il legale adduceva dal rapporto della Polizia stradale si evinceva che il sinistro era imputabile ad una condotta negligente del proprio “de cuius”. Avverso la sentenza della Corte d’appello, gli eredi, si rivolgevano, quindi, alla Corte di Cassazione.

La Sez. III della Corte di Cassazione, ritenendo insindacabile, in sede di legittimità, l’accertamento in fatto effettuato dalla Corte d’appello in ordine all’assenza di conferimento del mandato professionale in favore dell’avvocato ricorrente, esclude ogni profilo di colpa professionale del difensore, precisando che tale valutazione dell’avvocato infatti rientra nella tipica attribuzione tecnica del difensore, il quale ha anzi il dovere di farlo, dissuadendo i clienti dal cominciare le c.d. cause perse.

Il Giudice della nomofilachia esclude la colpa professionale del difensore, dal momento che non vi fu nessun conferimento di incarico professionale. A tal riguardo, infatti, chiarisce il Collegio giudicante che la distinzione tra procura alle liti e mandato professionale, sulla quale i ricorrenti insistono nel primo motivo richiamando correttamente la giurisprudenza in “subiecta materia”, non può rivestire alcun interesse ai fini dell’accoglimento del ricorso, posto che non vi fu alcun conferimento di incarico professionale. Sul punto, la Cassazione, richiamando una recentissima sentenza sull’argomento (sent. n. 9695/2016 del 12 maggio 2016), afferma che per gli avvocati esiste un obbligo di informazione, che consiste nell’informare i clienti sulle caratteristiche della causa e inoltre di non consigliargli azioni inutilmente gravose. Tale dovere informativo, che incombe non solo sugli avvocati ma sui professionisti in genere, ha quale obiettivo primario l’interesse economico del cliente e non il suo dovere di dissuasione.  

Con la sentenza in commento, quindi, i Giudici di Piazza Cavour si pongono sul medesimo solco della giurisprudenza ormai dominante sul punto, laddove si evidenzia che affinché sussista la responsabilità professionale degli avvocati, così come gli obblighi informativi che connotano il rapporto professionista – cliente, costituisce “conditio sine qua non” il conferimento dell’incarico, rilasciato in qualsiasi modalità, senza far discendere eventuali profili di responsabilità dalla mera informazione inerente le possibilità di vittoria della controversia, la quale costituisce esempio emblematico del dovere informativo dell’avvocato.

D’altro canto opinare diversamente comporterebbe un’eccessiva dilatazione delle ipotesi di responsabilità professionale, laddove si censurerebbe esclusivamente la discrezionalità del professionista inerente la valutazione sulle caratteristiche della instauranda controversia.

Dott.ssa Valentina Lieto