
La ripartizione dell’onere della prova tra datore e lavoratore
Prima di entrare nel merito di quanto statuito dalla Cassazione nella pronuncia n. 7058 del 3 marzo 2022, occorre analizzare brevemente la vicenda in relazione alla quale la Corte si è trovata a decidere.
Nel caso di specie, un lavoratore adiva il Tribunale di Sulmona al fine di ottenere la declaratoria della responsabilità contrattuale o extracontrattuale della Società datrice di lavoro, con conseguente risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali causati dall’esecuzione di mansioni usuranti, dall’esposizione alle vibrazioni, a posture incongrue e ad eventi climatici senza che fossero adottati da parte dell’azienda strumenti volti alla tutela del dipendente.
I Giudici di Prime Cure, in accoglimento delle richieste formulate dal lavoratore, condannavano la Società al risarcimento del danno, sul presupposto che non fosse stata data idonea tutela contro i rischi sopra indicati e che non fosse stata impartita ai dipendenti una formazione idonea a prevenire gli stessi.
La Corte d’appello dell’Aquila invece andava in senso contrario rispetto ai giudici di prime Cure.
La Suprema Corte di Cassazione, per il tramite della sentenza n. 7058/2022, accoglieva il ricorso presentato dal lavoratore, osservando che l’art. 2087 c.c. non costituisce un’ipotesi di responsabilità oggettiva; pertanto, il lavoratore deve fornire la prova circa l’esistenza del danno alla salute, la nocività dell’ambiente di lavoro, nonché il nesso di causalità fra l’una e l’altra.
Fornita tale prova, sarà poi il datore di lavoro a dover dimostrare di aver adottato tutte le cautele necessarie al fine di prevenire il danno verificatosi.
In conclusione, stando a quanto emerge dalla pronuncia della Corte di Cassazione ora narrata, sarà onere del dipendente dimostrare di aver subito un danno in conseguenza dell’ambiente di lavoro. Mentre, il datore di lavoro dovrà provare di aver adottato tutte le misure preventive necessarie.

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