Irriducibilità della retribuzione: principio aggirabile?

aprile 5th, 2013|Risposte di Scicchitano|

Egregio Avvocato,  

nell’azienda in cui attualmente sono dipendente alcuni nuovi assunti (tra cui io) circa otto mesi fa sono stati assorbiti con nuovi contratti in seguito ad una acquisizione di ramo d’azienda

Chiaramente, mantenendo le anzianità, i benefits e le funzioni che ognuno aveva prima dell’acquisizione.

Per i ruoli commerciali i nuovi contratti prevedono una parte variabile aggiuntiva (premio-incentivo) del 25% in aggiunta al fisso e legati da un calcolo-algoritmo (non descritto nel contratto stesso) alle performance di vendita in maniera permanente. Ora, l’azienda che, preciso, non è in stato di crisi, si è resa conto che alcuni dipendenti (gli ultimi assunti) hanno redditi globali maggiori di altri dipendenti che ricoprono medesimi ruoli commerciali. Essendo la retribuzione per definizione irriducibile, l’azienda progetta di calcolare in maniera molto meno gratificante i premi-incentivi legati alla performance, cambiando l’algoritmo esclusivamente ai dipendenti commerciali assorbiti mediante l’acquisizione di ramo d’azienda.

Lei crede che il comportamento dell’azienda sia corretto e che debba essere accettato? Non viola l’irriducibilità della retribuzione, ponendo di fatto regole diverse di valutazione per dipendenti con le medesime funzioni nella stessa azienda?

Che cosa comporterebbe, in via alternativa, se l’azienda dichiarasse di essere in stato di crisi e cercasse di riformulare il contratto sottoscritto solamente con taluni dipendenti, richiedendone una nuova sottoscrizione?

La ringrazio anticipatamente per il Suo autorevole parere.

Cordiali saluti

 

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Gentile Signore,

come è noto, secondo la costante Giurisprudenza, l’obbligo di corrispondere ai lavoratori una determinata attribuzione patrimoniale può sorgere in capo al datore di lavoro anche per effetto di una prassi aziendale (per effetto di una ripetitività regolare e continua) pur se non specificamente contemplata nel contratto di lavoro (v. ex multis Cassazione 2 settembre 1996, n.8027, Zattara c/ Soc. Cesa).

Nel caso di specie trova sostanzialmente applicazione il principio della irriducibilità della retribuzione, dettato dall’art.2103 c.c.,   per il quale, tra l’altro, sino a quando la prestazione viene eseguita con le stesse modalità il datore di lavoro non può ridurre la controprestazione.

Corre l’obbligo di osservare che, se il premio configura una attribuzione retributiva corrisposta al lavoratore in via continuativa ogni anno e durante tutto il rapporto di lavoro in aggiunta alla normale retribuzione, costituisce a tutti gli effetti un corrispettivo della prestazione di lavoro.

Devono ritenersi ricompresi nel concetto di retribuzione globale di fatto tutti i compensi corrisposti al lavoratore aventi carattere continuativo, con esclusione delle prestazioni erogate a titolo di rimborso spese e delle liberalità e/o premi concessi in occasioni particolari ad eventi imprevedibili e fortuiti: “per retribuzione globale di fatto deve intendersi il complesso degli emolumenti corrisposti a carattere continuativo ed, in particolare, oltre quelli che integrano la retribuzione ordinaria (stabilita a livello nazionale dalla contrattazione collettiva), anche quelle ulteriori componenti definite dalla contrattazione aziendale ed individuale”.

Insomma, il datore di lavoro che abbia sempre versato con regolare cadenza annuale il premio al dipendente, il premio de quo, anche se fosse originariamente corrisposto in modo spontaneo e senza obbligo contrattuale, si sarà trasformato, per effetto dell’inequivoco comportamento del datore di lavoro,  in un vincolo obbligatorio per lo stesso; si deve ritenere privato della natura originaria, conseguendo il carattere di compenso riconosciuto dall’uso aziendale (v. Cass. 21 aprile 2008, n.10303; Cass. 18 agosto 2004, n.16171; Cass. 2 agosto 2002 n. 11607).

La scelta operata dalla società di continuare a corrispondere periodicamente tale emolumento è, infatti, indicativa della volontà della medesima di adottarlo in maniera definitiva, con la conseguenza che tale attribuzione rientra (per costante prassi aziendale) nella cosiddetta “retribuzione globale di fatto” per la quale opera il già citato principio di irriducibilità.

Sempre secondo la giurisprudenza della Corte di Cassazione, non occorre neppure accertare la ripetitività regolare e continua e la frequenza delle prestazioni e dei relativi compensi, posto che questi ultimi vanno esclusi dalla nozione di retribuzione globale di fatto solo in quanto sporadici ed occasionali, per tali dovendosi intendersi solo quelli collegati a ragioni aziendali del tutto imprevedibili e fortuite, e dovendosi all’opposto computare gli emolumenti riferiti ad eventi collegati al normale rapporto lavorativo o connessi alla particolare organizzazione del lavoro (v. Cass. 22 agosto 2002, n.12411).

Lei lamenta, mi pare di capire, il fatto che non è mai stato indicato con chiarezza e precisione la disciplina (il calcolo algoritmico) concernente i predetti premi.

In passato è stata sostenuta la tesi per cui il premio non sarebbe dovuto qualora caratterizzato, durante tutto il rapporto, dalla variabilità della cifra e non vi siano parametri prefissati (oppure siano particolarmente complessi); ma tale tesi appare infondata per diversi ordini di ragioni.

A mio avviso, invero, il lavoratore ha diritto di conoscere la normativa attinente alla determinazione dei suddetti premi applicabile genericamente ai dipendenti e/o individualmente, i giudizi e le valutazioni dei superiori gerarchici che hanno portato alla determinazione ed all’attribuzione.

Laddove la società non dia riscontro a tale richiesta si configurerebbe una violazione dell’obbligo informativo posto legislativamente a suo carico (art.4 d.lg. 152/1997, art.9 bis l.608/1996) di fornire al lavoratore le notizie circa le condizioni applicate al rapporto.

Si deve comunque evidenziare come il carattere variabile del premio non possa incidere sulla debenza in astratto del premio stesso.

La variabilità del premio non è, quindi, rilevante.

Di contro l’eventuale declaratoria dello “stato di crisi aziendale” legittimerebbe il datore a sottoporre ai dipendenti un contratto peggiorativo, con l’avvertimento, tuttavia, che tali condizioni dovrebbero essere applicate in maniera non discriminatoria e che, comunque, lo stato di crisi dovrebbe essere concreto e reale.

Cordiali saluti