La riforma del lavoro e la nuova disciplina del lavoro a progetto
La riforma del lavoro, attuata con Legge 92/2012 entrata in vigore il 18 Luglio scorso, ha influito, tra le altre, sulla disciplina del contratto di lavoro a progetto. In particolare il Legislatore è intervenuto, per quanto concerne i contratti stipulati dopo l’entrata in vigore della legge stessa, sotto vari profili quali: la definizione del requisito del progetto, il corrispettivo del prestatore d’opera a progetto, il regime sanzionatorio e la disciplina del recesso dal contratto.
Per quanto attiene il primo aspetto, l’art. 61, comma 1, del D. Lgs 276/2003, così come modificato dalla riforma, prevede che le nuove collaborazioni coordinate e continuative devono essere ricondotte ad uno o più specifici progetti collegati ad un determinato risultato finale modificando in misura rilevante la previgente formulazione della disposizione che faceva invece riferimento “ad uno o più programmi di lavoro o fasi di esso”. Oggi, pertanto, il progetto deve essere “funzionalmente collegato ad un risultato finale” ed entrambi, progetto e risultato finale, devono trovare una specifica descrizione nel contratto di lavoro pena la conversione del rapporto in lavoro subordinato.
Rilevanti modifiche sono state introdotte anche relativamente al corrispettivo dovuto al prestatore d’opera posto che, sebbene la previgente disciplina già prevedeva che il compenso dovesse essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato, peraltro in conformità a quanto sancito dall’art. 36 della Costituzione, la riforma ha aggiunto la previsione che l’entità del compenso stesso non possa comunque essere inferiore ad un parametro specificatamente definito dalla contrattazione collettiva per ogni ramo di attività, offrendo in tal modo la possibilità al prestatore di lavoro di agire giudizialmente per le eventuali differenze retributive nel caso di mancato rispetto del parametro di riferimento. Inoltre, in mancanza di accordi collettivi che fissino tali parametri, il compenso dovuto dovrà essere quantificato in misura non inferiore, a parità di durata temporale della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi per i lavoratori subordinati che svolgono analoghe mansioni. Da ultimo, per quanto attiene la disciplina del recesso dal contratto, la riforma, novellando l’art. 67, comma 2 del D. Lgs. 276/2003, oltre a prevedere la possibilità per entrambi i contraenti di recedere dal contratto prima della scadenza del termine in presenza di una giusta causa prevede altresì, in mancanza di giusta causa, la possibilità per il lavoratore di recedere con preavviso ove tale facoltà sia prevista dal contratto stesso e, per il committente, solo nella misura in cui siano emersi profili di “inidoneità professionale” del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto.
Studio Scicchitano
La riforma del lavoro e la nuova disciplina del lavoro a progetto
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Per quanto attiene il primo aspetto, l’art. 61, comma 1, del D. Lgs 276/2003, così come modificato dalla riforma, prevede che le nuove collaborazioni coordinate e continuative devono essere ricondotte ad uno o più specifici progetti collegati ad un determinato risultato finale modificando in misura rilevante la previgente formulazione della disposizione che faceva invece riferimento “ad uno o più programmi di lavoro o fasi di esso”. Oggi, pertanto, il progetto deve essere “funzionalmente collegato ad un risultato finale” ed entrambi, progetto e risultato finale, devono trovare una specifica descrizione nel contratto di lavoro pena la conversione del rapporto in lavoro subordinato.
Rilevanti modifiche sono state introdotte anche relativamente al corrispettivo dovuto al prestatore d’opera posto che, sebbene la previgente disciplina già prevedeva che il compenso dovesse essere proporzionato alla quantità e qualità del lavoro prestato, peraltro in conformità a quanto sancito dall’art. 36 della Costituzione, la riforma ha aggiunto la previsione che l’entità del compenso stesso non possa comunque essere inferiore ad un parametro specificatamente definito dalla contrattazione collettiva per ogni ramo di attività, offrendo in tal modo la possibilità al prestatore di lavoro di agire giudizialmente per le eventuali differenze retributive nel caso di mancato rispetto del parametro di riferimento. Inoltre, in mancanza di accordi collettivi che fissino tali parametri, il compenso dovuto dovrà essere quantificato in misura non inferiore, a parità di durata temporale della prestazione, alle retribuzioni minime previste dai contratti collettivi per i lavoratori subordinati che svolgono analoghe mansioni. Da ultimo, per quanto attiene la disciplina del recesso dal contratto, la riforma, novellando l’art. 67, comma 2 del D. Lgs. 276/2003, oltre a prevedere la possibilità per entrambi i contraenti di recedere dal contratto prima della scadenza del termine in presenza di una giusta causa prevede altresì, in mancanza di giusta causa, la possibilità per il lavoratore di recedere con preavviso ove tale facoltà sia prevista dal contratto stesso e, per il committente, solo nella misura in cui siano emersi profili di “inidoneità professionale” del collaboratore tali da rendere impossibile la realizzazione del progetto.
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