Detenuto all’ergastolo, l’applicabilità della sorveglianza speciale

settembre 21st, 2019|Alessia Bucci, Articoli, Diritto penale|

La Corte di Cassazione Penale, Sez. I, con sentenza n. 18243/19, è intervenuta sull’istituto della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza e nello specifico – sulla possibilità di chiederne la revoca – ha ribadito il seguente principio di diritto: “la sorveglianza speciale di pubblica sicurezza è applicabile anche alla persona che sia detenuta, in espiazione della pena dell’ergastolo, giacché, quantunque si tratti di una pena in linea di principio perpetua e – come tale – teoricamente ostativa all’esecuzione della misura di prevenzione, l’ergastolo è  in realtà suscettibile di estinzione attraverso numerosi istituti previsti dall’ordinamento penale e, quindi, non è incompatibile, di fatto, con la possibilità di dare corso all’esecuzione della misura una volta cessato lo stato di detenzione del condannato, qualora ne permanga la pericolosità sociale”.

Ad ogni modo, nel corso dell’espiazione della pena detentiva, l’esecuzione della misura di prevenzione personale resta sospesa, ai sensi del Decreto Legislativo n. 159 del 2011, articolo 14, comma 2-ter e solamente una volta cessata la detenzione, la sorveglianza speciale inizierà a decorrere, o riprenderà vigore, previo accertamento della persistente attualità della pericolosità del soggetto, che dovrà essere concretamente rivalutata dall’autorità giudiziaria che ha adottato la misura.

La pronuncia de quo trae origine dal ricorso – proposto da un condannato alla pena dell’ergastolo – avverso il decreto del Tribunale di Catania che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revoca della misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza, con obbligo di soggiorno, dallo stesso proposta.

Nello specifico, il ricorrente deduceva l’esistenza di un concreto interesse alla revoca della misura di prevenzione per poter beneficiare di una licenza trattamentale presso la propria famiglia.

Rilevava, altresì, di stare espiando la pena in regime di semilibertà e di aver intrapreso da molti anni un percorso di risocializzazione, anche attraverso l’attività lavorativa presso l’officina del fratello.

Nel suddetto ricorso, dunque, lamentava l’ostacolo a un pieno reinserimento sociale rappresentato dalla misura di prevenzione, che aveva comportato il diniego di recarsi dalla figlia nonostante il venir meno dell’attualità della sua pericolosità.

Ebbene, secondo la Suprema Corte, le ragioni allegate dal ricorrente di non veder pregiudicate le proprie aspettative di reinserimento sociale sono destinate a trovare riconoscimento negli appositi istituti previsti dall’ordinamento penitenziario, la cui operatività è subordinata ad un’autonoma valutazione di superamento della pericolosità del soggetto, di competenza, però, della magistratura di sorveglianza.

Tale valutazione, invero, non presuppone la revoca della misura di prevenzione, attualmente sospesa; come dimostrato, anche, dalla stessa allegazione nel ricorso di aver già fruito di benefici trattamentali e di permessi premio.

È solo nel momento in cui cessa l’espiazione in stato detentivo della pena, invero, che sorge l’interesse – concreto e attuale – del soggetto sottoposto alla misura di prevenzione personale, la cui esecuzione è sospesa, a sollecitare, anche attraverso una richiesta di revoca della misura, la verifica della permanenza della condizione di pericolosità sociale, che il Tribunale è comunque tenuto a effettuare anche d’ufficio, costituente il presupposto della messa in esecuzione della misura.

Sulla base dei suddetti motivi la Corte ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Dott.ssa Alessia Bucci