Risarcimento del danno, l’efficacia probatoria del patteggiamento

Con la sentenza n. 20170 del 30.07.2018, la terza sezione della Corte di Cassazione si è pronunciata in merito all’efficacia, nell’ambito del giudizio civile di risarcimento del danno derivante da reato, della sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti del danneggiante/condannato.

Trattasi di un argomento particolarmente delicato poiché, allo stato, non vi sono indicazioni univoche in giurisprudenza circa gli effetti, in ambito civile, di una previa sentenza penale resa ex art. 444 c.p.p.

Sul punto, infatti, si fronteggiato tre orientamenti contrapposti:

  • Un primo indirizzo secondo cui la sentenza, pur patteggiata, contenga comunque un’ammissione di colpevolezza tale da determinare un’inversione processuale dell’onere della prova anche in sede civile.
    Dovrà quindi essere il convenuto che ha patteggiato a dover provare, in sede civile, l’inesistenza dei fatti che gli sono stati addebitati con il capo di imputazione.

Il giudice adito, qualora intenda discostarsi da tale prova, dovrà motivare gravosamente le ragioni per cui l’imputato avrebbe ammesso “una sua insussistente responsabilità, ed il giudice penale abbia prestato fede a tale ammissione” (cfr. ex multis Cass. n. 3980/2016).

  • Un secondo orientamento, ritiene che questa tipologia di pronunce possa essere liberamente apprezzata dal giudice, alla stregua di un mero indizio.

Di tal guisa, la sentenza ex art. 444 c.p.p. non avrebbe, in sede civile o amministrativa, una sua efficacia vincolante in, potendo semmai costituire un indizio da cui il giudice sarebbe libero di discostarsi.

  • Un terzo orientamento, infine, esclude ex abrupto, aderendo ad una interpretazione letterale della disposizione del c.p.p. sopracitata, che la sentenza possa avere una qualsiasi efficacia vincolante o probatoria nel giudizio civile (cfr. Cass. n. 27835/2017).

Di tre tali correnti interpretative, nel caso di specie gli ermellini hanno deciso di sposare una linea interpretativa che muove da una interpretazione sistematica degli artt. 444 c.p.p. (comma 2) e 75 c.p.p..

La prima delle disposizioni citate statuisce espressamente che, nel caso di sentenza di patteggiamento “non si applica la disposizione dell’art. 75 c.p.p. comma 3”, comma che, a sua volta, dispone, nel caso in cui l’azione di danno sia stata proposta dopo la sentenza penale di primo grado, la sospensione obbligatoria del processo civile sino a quando quello penale non sia terminato.
Tale deroga consente, anche in caso di impugnazione della sentenza di patteggiamento, la proposizione da parte del danneggiato dell’azione di danno in sede civile.
È quindi lo stesso legislatore ad avere chiaramente escluso qualsivoglia impatto della sentenza penale sull’esito del giudizio civile medio tempore iniziato.

La Corte, nel rigettare il ricorso proposto dalla parte che si era vista negare in primo ed in secondo grado la condanna della convenuta al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della commissione dei reati di ingiuria e minaccia (per cui era stata condannata in sede penale ex art. 444 c.p.p.), ha quindi pronunciato i seguenti principi di diritto:

  1. “La sentenza penale di patteggiamento nel giudizio civile di risarcimento e restituzione non ha efficacia di vincolo, non ha efficacia di giudicato, e non inverte l’onere della prova;
  2. La sentenza penale di patteggiamento per il giudice civile non è un atto, ma un fatto; e come qualsiasi altro fatto del mondo reale può costituire un indizio, utilizzabile solo insieme ad altri indizi e se ricorrono i tre requisiti di cui all’art. 2729 c.c.”

Dott.ssa Caterina Marino