Accesso abusivo a sistema informatico è reato di pericolo

Con la sentenza n. 8541 del 30.11.2018, depositata il 27.02.2019, la Quinta Sezione Penale della Corte di Cassazione, riconfermando la precedente giurisprudenza delle Sezioni Unite, ha chiarito che il reato di cui all’art 615 ter c.p.accesso abusivo ad un sistema informatico o telematico” configura un reato di pericolo.

L’art. 615 ter c.p. afferma che: “Chiunque abusivamente si introduce in un sistema informatico o telematico protetto da misure di sicurezza ovvero vi si mantiene contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo, è punito con la reclusione fino a tre anni.
La pena è della reclusione da uno a cinque anni: se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da un incaricato di un pubblico servizio, con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti alla funzione o al servizio, o da chi esercita anche abusivamente la professione di investigatore privato, o con abuso della qualità di operatore del sistema;”.

Il caso da cui prende le mosse la pronuncia riguarda un sottoufficiale della guardia di finanza, condannato in primo grado e in appello per essersi introdotto nel sistema informatico “Serpico” al fine di ottenere informazioni sulla situazione patrimoniale della moglie, con la quale era in corso un procedimento di separazione

Tra i motivi di ricorso il difensore contestava l’attribuzione di responsabilità al suo assistito per un accesso non considerabile “abusivo” – non essendo stati accertati né i limiti né le condizioni di accesso al sistema – e il dolo dell’agente.

Sul punto la Corte rileva due diversi orientamenti. Inizialmente la giurisprudenza aveva stabilito l’irrilevanza – ai fini della configurazione e attribuzione del reato – dei motivi del soggetto agente. In un secondo momento è stato chiarito (Cass. sez. V pen. n 41210 del 18.5.2017) che il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio, pur essendo abilitati all’accesso, configurano il reato quando vi accedano o si mantengano per motivi ontologicamente estranei alle facoltà loro attribuite.

La corte rigettando il ricorso afferma che «poiché lo scopo della norma è quello di inibire “ingressi abusivi” nel sistema informatico, non assume rilievo ciò che l’agente ebbe a carpire indebitamente (se notizie riservate o altrimenti recuperabili) ma l’ingresso stesso non sorretto da ragioni collegate al servizio (pubblico o privato) svolto».

Secondo la corte la norma configura, quindi, un reato di pericolo che si concretizza con l’accesso in un sistema contenente dati riservati, indipendentemente dall’effettiva apprensione di tali dati.

Diana De Gaetani