Violazione del diritto dell’Unione Europea: no alla revisione della sentenza

Con la sentenza del 24 ottobre 2018 (c-234/17) la Grande sezione della Corte di Giustizia dell’Unione Europea si è pronunciata in tema di violazione del diritto dell’Unione da parte di una sentenza avente forza di giudicato.

La domanda pregiudiziale posta all’esame dei giudici della CGUE verteva sull’interpretazione dell’art. 4 par. 3 TUE, alla luce dei principi di equivalenza ed effettività. Il giudice del rinvio, nella specie la Corte Suprema austriaca (Oberster Gerichtshof), chiedeva se, in ossequio ai principi di leale cooperazione, equivalenza ed effettività, la ripetizione del procedimento penale dovesse essere disposta, non solo in caso di violazione dei diritti garantiti dalla CEDU, ma anche nell’ipotesi di lesione del diritto dell’Unione Europea, sebbene una simile facoltà non fosse espressamente prevista dai Trattati.

I giudici europei, dichiarata la questione pregiudiziale come ricevibile, hanno affermato che, in assenza di una normativa esplicita dell’Unione in materia, le modalità di attuazione del principio di intangibilità della cosa giudicata e del rispetto del principio del “ne bis in idem” rientrino nell’ordinamento giuridico interno degli Stati membri, dovendo rispettarsi l’autonomia procedurale di questi ultimi.

In particolare, la Corte di Giustizia ha operato una distinzione tra il sistema della CEDU e il diritto dell’Unione Europea

La possibilità di utilizzare un mezzo di impugnazione straordinario come la revisione per dare esecuzione alle sentenze della Corte Europea dei diritti dell’Uomo, infatti, deriva dalle caratteristiche della CEDU e, nello specifico, dalla circostanza per cui è possibile adire i giudici di Strasburgo solo previo esaurimento delle vie di ricorso interne. Ciò implica la sussistenza di una decisione definitiva del giudice nazionale di ultima istanza avente, quindi, valore di giudicato tra le parti.

Il diritto dell’Unione Europea, al contrario, si caratterizza per il fatto di derivare da una fonte autonoma quali sono i Trattati (TFUE /TUE), nonché per aver costruito un sistema giurisdizionale volto ad assicurare la coerenza interpretativa per il tramite dell’istituto del rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.

Il rinvio pregiudiziale, infatti, consente l’instaurazione di un dialogo tra il giudice nazionale e quello europeo ove, nello svolgersi di una controversia pendente innanzi al primo, siano sorte questioni che necessitino di una “interpretazione autentica” del diritto dell’Unione. In seguito alla pronuncia della CGUE, il giudice interno sarà tenuto ad adeguarsi all’indirizzo interpretativo espresso senza attendere una abrogazione della norma, ma potendo procedere direttamente alla sua disapplicazione.

Il diritto dell’Unione non prevede, quindi, che per adeguarsi ad una interpretazione resa dalla Corte di Lussemburgo successivamente alla chiusura definitiva del procedimento penale il giudice nazionale possa travalicare la forza del giudicato, né consente alle parti di ricorrere ad un mezzo di impugnazione straordinario, quale è la revisione, che al contrario, in caso di violazione della CEDU o di uno dei suoi protocolli, permette la ripetizione del processo concluso.

D’altra parte, come sostenuto dall’avvocato generale in sede di rinvio pregiudiziale, la tutela del principio di cosa giudicata non inibisce alle parti di far valere una eventuale responsabilità dello Stato al fine di tutelare i propri diritti (sentenze Kobler, C-224/01, Tarsia, C-69/14).

Dott.ssa Caterina Marino