Daspo, la Cassazione “salva” due ultras della Lazio

Il “Divieto di Accedere alle manifestazioni Sportive”, meglio noto a tutti sotto l’acronimo D.A.SPO o anche DASPO, è una sanzione che viene inflitta ai tifosi più violenti ed animosi.

La ratio sottesa a tale divieto è quella di contrastare il fenomeno, oramai molto diffuso, degli scontri tra le tifoserie.

Il soggetto raggiunto da D.A.SPO. è solitamente un soggetto facinoroso e spesso ritenuto pericoloso e per tali motivi il Questore ha il potere di inibirgli l’accesso e la frequentazione dei luoghi ove si celebrano determinate manifestazioni sportive, ad esempio stadi in occasione delle dispute delle partite.

Tale misura “restrittiva” ha una durata che oscilla da uno a cinque anni.

La Suprema Corte di Cassazione è dunque intervenuta sul punto con la sentenza n. 11914/17 depositata il 13.3 u.s.

La fattispecie sottoposta alla Corte riguardava due tifosi “ULTRAS” della Lazio, avvistati nei pressi dei luoghi ove gli era vietato l’accesso perché raggiunti da D.A.SPO e dove, a distanza di circa sei ore, si sarebbe disputato un incontro calcistico di serie A.

Fermati e sottoposti a processo, i due riportavano condanna per aver violato gli obblighi scaturenti dall’art. 6 comma 1 della Legge 401/1989 indicati nel provvedimento di DASPO nei loro confronti emesso.

Avverso la sentenza di condanna i tifosi ricorrevano per Cassazione sostenendo l’errata interpretazione di quanto prescritto nell’articolo da ultimo citato.

All’esito del giudizio, la Cassazione, nella già citata sentenza n. 11914/17, depositata il 13.3 u.s., ha ritenuto meritevole di accoglimento il ricorso presentato dagli imputati.

La Corte ha infatti analizzato la portata letterale dell’articolo 6 comma 1 della Legge 401/1989, ovvero della fattispecie contestata agli imputati ed ha rilevato che in detto disposto normativo è fatto obbligo al Questore di indicare tassativamente i luoghi vietati al destinatario del provvedimento senza però fare riferimento alcuno agli orari d’interdizione.

Sul punto infatti ben argomenta la Corte che a tal proposito riferisce: “la ragione del divieto risiede nel proposito di evitare rischi di possibili incidenti tra tifoserie rivali o comunque disordini o condotte violente connesse alla manifestazione sportiva, ciò non autorizza a ritenere che laddove la presenza in determinati luoghi […] sia notata molte ore prima dell’incontro, ciò basti ad integrare il reato”.

La Corte perciò ha cassato la sentenza impugnata poiché ha ritenuto che non è sufficiente “prendere atto della presenza dei due imputati in determinati luoghi il giorno della partita per ritenere integrata la condotta”.

Dott. Marco Campanini