Coltivazione cannabis, la punibilità dei semplici germogli

Non è punibile la coltivazione della cannabis se trattasi di semplici germogli. È quanto statuito dalla Suprema Corte di Cassazione con sentenza n. 2618/2016.

Il ricorso da cui è derivata la sentenza di cui trattasi prendeva avvio dalle doglianze di un soggetto che, all’esito di giudizio abbreviato veniva condannato dal Giudice di prime cure, con successiva conferma ad opera della competente Corte di Appello adita, alla pena di mesi sei di reclusione in relazione al reato p. e p. dall’art. 73, comma 5, D.P.R. 309/1990, per avere illegalmente coltivato delle piante di cannabis indica.

La condotta di coltivazione di sostanze stupefacenti si caratterizza quale reato di pericolo presunto e, dunque, quale fattispecie contraddistinta da una notevole anticipazione della tutela penale e dalla valutazione dell’esistenza del “pericolo di un pericolo”

Il divieto di coltivazione di piante da cui è possibile estrarre la sostanza stupefacente, tutela in maniera precipua il bene della salute, inteso come bene di cui l’individuo è portatore nell’interesse della collettività; ciò nonostante, in questo caso, la verifica dell’offensività in concreto deve soggiacere al rispetto del principio di necessaria lesività, rappresentato nella specie, dall’efficacia drogante della sostanza, dimostrazione che deve possedere la caratteristica dell’assoluta certezza e superare il vaglio dell’oltre ogni ragionevole dubbio, così come previsto dall’art. 533, comma 1, c.p.p.

Di tal guisa che “… con riferimento alla coltivazione, questo tipo di verifica deve essere rivolta ad accertare la potenziale lesività delle piantine, ma avendo riferimento all’attualità, non alla futura ed eventuale capacità di mettere in pericolo il bene tutelato”. Ed ancora “… la condotta di coltivazione, per essere punita, deve essere in grado in concreto di mettere in pericolo la salute pubblica, e ciò può accadere solo se la pianta ha un’effettiva ed attuale capacità drogante”.