Leso il diritto alla serenità del minore: straniero non può essere espulso

Con ordinanza n. 25419 del 2015, depositata in cancelleria il 14 dicembre u.s., la Corte di Cassazione ha stabilito il diritto di due genitori a non essere espulsi ed a rimanere nel nostro Paese, considerando le difficoltà nelle quali il minore, residente da tempo nel nostro Paese, sarebbe potuto incorrere nell’adattarsi a nuove usanze e condizioni di vita alle quali non era abituato.

Il caso in esame era incentrato su quanto previsto all’art. 31 3°co. del d.lgs. n.286 del 25 luglio 1998 che recita: “Il Tribunale per i minorenni, per gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico e tenuto conto dell’età e delle condizioni di salute del minore che si trova nel territorio italiano, può autorizzare l’ingresso o la permanenza del familiare, per un periodo di tempo determinato, anche in deroga alle altre disposizioni del presente testo unico. L’autorizzazione è revocata quando vengono a cessare i gravi motivi che ne giustificano il rilascio o per attività del familiare incompatibili con le esigenze del minore o con la permanenza in Italia. I provvedimenti sono comunicati alla rappresentanza diplomatica o consolare e al questore per gli adempimenti di rispettiva competenza”.

Partendo da questo presupposto la Corte di legittimità ha accolto il ricorso presentato da due genitori senegalesi che si erano visti rifiutare la richiesta di autorizzazione a risiedere in Italia, prima dal Tribunale di Ancona ed in seguito dalla Corte di Appello, Sezione minori, che aveva rigettato il reclamo proposto avverso tale decisione presentato dal Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i minorenni.

Il Giudice di seconde cure aveva, infatti, motivato la sua decisione facendo leva sulla mera temporaneità del provvedimento e sulla sua idoneità a determinare soltanto un differimento del distacco del minore dall’Italia, anche perché, sempre secondo la Corte territoriale, l’allontanamento dei genitori non avrebbe significato un automatico distacco dai figli, potendo quest’ultimi seguire la loro sorte nel far ritorno al Paese di origine non subendo, per questo, traumi di alcun tipo.

Nell’emettere la propria ordinanza la Corte di Cassazione ha specificato come il rifiuto di detta autorizzazione deve trovare fondamento su una rigorosa motivazione; la Corte d’Appello ha quindi errato nel non valutare in maniera appropriata l’impatto che un cambiamento dello stile di vita, ormai radicato, avrebbe potuto avere sulla serenità psico-fisica dei minori, non tenendo in debito conto il grado di integrazione raggiunto dai due genitori anche attraverso l’attività lavorativa. Nel caso di specie, infatti, le relazioni svolte da parte sia dei Carabinieri che dei Servizi Sociali evidenziavano un buon inserimento di questi ultimi nella vita del nostro Paese, nonché una regolare condotta di vita.

Questioni che sicuramente hanno influito positivamente nella vita dei due minori e che avrebbero dovuto portare ad un esito diverso il giudicato della Corte d’Appello.

In forza delle considerazioni sinora esposte, accogliendo il ricorso, la Cassazione ha rinviato la questione alla Corte d’Appello in diversa composizione.